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“La mia cultura è satura di mistici, è parte di una linea Mediterranea, di un discorso ideale pieno di contraddizioni che come artista ho forse ereditato dal Sud… Credo in un’arte con origini, e quando si riesce a toccare tali origini si parla ad ognuno, si è universali, non internazionali”.
Le parole di Jaume Plenza (1956) artista spagnolo, ricordate nel catalogo presentato da Giandomenico Semeraro, curatore della mostra, rivelano con efficacia ciò che si prova davanti alle opere di Angelo Borgese. L’artista stesso esprime questa sua potenzialità di “assorbire” stimoli da luoghi molto diversi, da New York a Firenze, da Riccione, dove vive e lavora, a Catania dove è nato. E tutto arricchisce e comprime quel substrato culturale tipicamente Mediterraneo che trabocca negli azzurri e nei rossi solari, nel coacervo di tecniche e decorazioni, negli sfondi fitomorfi, meticolosi, raffinati di antica e bizantina memoria. Un artista eclettico che spazia nel suo lavoro esprimendosi con materiali vari e senza limitazioni schematiche o espressive. Borgese crea, plasma, manipola con consapevolezza artigianale la materia, sovrappone tecniche e carte, graffia le superfici lavorate e fa scaturire piccole e grandi poesie pittoriche.
Estremamente significative sono le 12 opere dell’ultimo periodo, di piccole dimensioni (circa 11cm di lato) e di forma quadrata.
Il primo impatto visivo evidenzia la figura che è presente in ciascuna di esse, spesso eccentrica e ben delineata. In realtà, una volta catturata l’attenzione, lo sguardo si concentra sullo sfondo di delicata fattura, quasi “carta da parati”, come lo definisce l’artista, che riempie la scena. Colori pastello, steli lunghi e sottili di improbabili tulipani, foglie di acanto le cui nervature sono state ottenute con leggeri graffi sul colore stratificato, fiori schematizzati, ripetuti e dalla grafia infantile. Il fascino di queste opere è lo “svelamento” progressivo di piccoli particolari, ottenuto con stratificazioni di carte, opacizzazioni di colori coprenti o trasparenze dovute a strappi nella sovrapposizione cartacea. Si intravedono silhouette di manga giapponesi, segni di verosimili alfabeti arabeggianti; ciò che è significativo nella rielaborazione pittorica è la perdita della identità originale e l’acquisizione di nuovo e indubbio valore artistico.
Ancora più enigmatici risultano i piccoli “teatri”, scatole chiuse o aperte che fanno immaginare il “mistero”, costruiti con contenitori di legno o con scatoline di plexiglass, in origine piccole confezioni di chiodi. Tutto è asservito alla poliedrica immaginazione e alla creatività dell’artista, che fuori dagli schemi, sperimenta ed esalta la complessa stratificazione culturale
dei suoi racconti.
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link correlati:
www.iatp.am/maro/t3.htm
www.perarte.it/proposta.htm
www.premiomorlotti.it/ediz.1999
Daniela Cresti
Dal 19/01/2002 fino al 9/02/2002
Galleria Tornabuoni, via Tornabuoni 74/r
Firenze
Orario: 9,30-13 15,30-19,30
Giorno di chiusura: domenica
Ingresso libero
Tel/fax: 055-284720
Catalogo presente in galleria
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