Domenico Gnoli e Francesco Lo Savio: protagonisti degli anni Cinquanta e Sessanta, appartenenti alla stessa generazione, assimilabili per l’assoluta individualità. Con la realizzazione di questi due retrospettive il Pecci rivaluta la loro produzione artistica, invitando la critica contemporanea a una lettura più attenta il lavoro di personalità tanto complesse, figure di altissimo livello non inscrivibili a nessuna corrente nazionale ed internazionale, un’ulteriore testimonianza della creatività italiana, secondo le parole del neodirettore Daniel Soutif.
La mostra ripercorre l’attività di Francesco Lo Savio dal 1958, con le tavole lavorate a encausto, primi esempi della conoscenza della lezione informale alla quale si oppose negli anni successivi, utilizzando figure geometriche primarie, come il cerchio o il quadrato. Di questi anni anche le due tempere su tavola con piccole impronte nere, desunte dall’osservazione di Capogrossi e sette opere dalle dimensioni minori con sgocciolature di colore, dove l’artista già mostra il suo interesse per la spazialità.
Tra le ultime creazioni -l’artista morirà prematuramente nel ’63- la serie dei Metalli, opere prodotte industrialmente e dipinte in nero opaco, per assorbire al massimo la luce: la superficie, concava o convessa, acquisisce identità grazie alla combinazione di forma, colore e luce. Cubi in cemento bianco, aperto su due lati, sono le Articolazioni totali, in cui la dialettica tra interno ed esterno è determinata dai coefficienti luminosi dell’ambiente. In mostra anche i modellini e gli studi architettonici realizzati da Lo Savio per alcune progettazioni urbane: il prodotto finale sarà Maison au Soleil, una città con qualità simmetriche ed organiche simili all’anatomia umana.
La pittura di Domenico Gnoli è stata spesso e distrattamente iscritta alla Pop Art per la quotidianità dei suoi oggetti, ma l’artista è apparso sulla scena internazionale come una meteora isolata, pur instaurando una rapporto diretto con la tradizione.
In esposizione i numerosi disegni realizzati in ambito teatrale dalla metà degli anni Cinquanta e in linea con gli acquafortisti del tempo. La linea acquisisce, nel corso degli anni, una sinuosità plastica sempre maggiore, sintomo della morbide forme successive, come in The pressed shirt del ’57 o Linen Baskets del ‘59. Lo schienale di una poltrona, un cassettone, una cravatta, il colletto di una camicia, o semplicemente un ricciolo, sono osservati e rappresentati in ogni più piccolo dettaglio, perché solo la visione ravvicinata gli permette di afferrare il senso e la funzione dell’oggetto rappresentato.
Nel suo mondo sono gli oggetti a governare, l’essere umano non ha molta importanza. “Non voglio aggiungere né togliere nulla. Non ho mai avuto voglia nemmeno di deformare: isolo e rappresento. E’ perché non intervengo mai attivamente contro l’oggetto che risento la magia della sua presenza”, ha affermato Gnoli.
marta casati
mostra visitata il 21 febbraio 2004
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