Il filosofo tedesco Hans Jonas, certo influenzato dagli studi sullo gnosticismo, teorizzava per l’uomo un limite conoscitivo invalicabile e ciò nonostante necessario: perché procedervi oltre avrebbe comportato la fine di ogni sacralità. All’interno de
Il principio di responsabilità – il suo testo più celebre – lo stesso concetto veniva declinato in termini bioetici, arrivando alla conclusione per cui ogni sviluppo tecnico, per esser davvero positivo, dovrebbe accordarsi tanto al benessere presente quanto alla vita delle generazioni a venire.
Francesco Marmorini, curatore per Furini Contemporanea, prende spunto da tali considerazioni e ne ottiene una piccola mostra o, meglio, un incontro dialogico fra tre artisti particolari, tali poiché giovani – nati in prossimità del 1979, anno di pubblicazione del libro – e ugualmente impegnati in tipologie d’arte prossime alla tematica in questione.
Michele Bazzana (San Vito al Tagliamento, Pordenone, 1979; vive a Codroipo, Udine) alterna reminiscenze dada a un gusto ludico e appassionato per l’oggetto. Simile a un operaio autodidatta, l’artista assembla marchingegni la cui ragione, se proprio ne devono avere una, è nell’idea sorprendente più che nel corretto funzionamento. Per esempio,
Save our S – scheletro locomotore dal motorino manuale per un viaggio in direzione contraria allo sguardo – con la sua l’ambiguità applicativa induce riflessioni sul rapporto tra uomo e macchina. Siamo in grado d’indirizzare lungo una giusta traiettoria ogni esperienza tecnologica?
Nicola Toffolini (Udine, 1975; vive a Coseano, Udine) prosegue un discorso rigoroso sulla possibile sintesi tra componente naturale e artificiale.
Giù la testa vs Su la testa è una complessa macchina a raggi UV che accresce piccole piante per poi potarle in altezza, secondo le cadenze di un countdown. Dicotomia che interroga circa la liceità e opportunità di sostituire ai ritmi della terra cicli preordinati di sviluppo/contenimento. Si avverte il presentimento che rinunciare alle dinamiche del suolo, quelle stesse illustrate negli analitici disegni esposti a complemento, potrebbe comportare una perdita di “poesia”.
Diviso tra più direttrici è invece
Federico Del Vecchio (Napoli, 1977), che infatti presenta opere formalmente diverse: video, disegno e scultura. La più incisiva sembra
What are you looking for?, grafite su parete a raffigurare un bimbo col cannocchiale, rimando alla deleteria pratica di attendere e raccogliere la radioattiva spazzatura spaziale. Dunque, denuncia di un conflitto non sanato fra ipertecnica e povertà estrema.
La serie di accostamenti risulta interessante e ha inoltre il merito di ricordarci una delle maggiori differenze tra arte e scienza. Ovvero, se la prima si pone rispetto all’imponderabile in termini intuitivi, attraverso forme visibili che ne diano un’impressione soprattutto estetica, la seconda vanta una purezza di metodo che mira alla facoltà di creare e distruggere la vita. Come a dire che, mentre una sconvolge, l’altra coinvolge.