Proprio come nell’omonimo film di
Fritz Lang, il progetto
M. di
Luca Pozzi (Milano, 1983) tratta di mostri, nell’accezione latina di meraviglie, e di misteri. La sua indagine non si sviluppa tuttavia all’inseguimento di un efferato criminale, ma tenta un approccio artistico a complesse congetture maturate in seno alla fisica contemporanea, tra le quali, per l’appunto, la
M Theory di Edward Witten.
Le parole dell’artista meneghino svelano in parte il contenuto della ricerca e i suoi intenti: “
Concepire in nuovi termini la gravità ha sempre condotto a rivoluzioni paradigmatiche: inediti ed equivalenti punti di vista sui processi vitali del cosmo e dell’esperienza concreta degli individui. Si potrebbe ipotizzare che sia il passepartout per entrare in ogni luogo, non più per viaggiare nello spazio ma tra gli spazi; si potrebbe ipotizzare, e forse è proprio questa la tesi sostenuta, che sia un collante prezioso tra i mondi fisici e teorici concepibili e non, il veicolo madre di ogni informazione visiva e sostanziale”.
Proprio dar corpo e rendere visibili campi di forze interlacciati è lo scopo dell’installazione, suddivisa in varie postazioni quadrate.
Cinque piattaforme, quasi stazioni orbitanti di suprematista memoria, che si snodano in progressione nello stretto spazio della galleria, ospitano “
sculture gravitazionali”. In ognuna di esse una spugna marina è, infatti, sospesa sopra il livello dell’acqua da un’interazione di magneti.
La rigorosità dell’installazione, oltre a richiamare il doveroso ambiente asettico atto a ospitare qualsivoglia esperimento scientifico, strizza intelligentemente l’occhio al modernismo: la colorazione delle spugne è data dai tre colori primari più il bianco e il nero. Il radicalismo cromatico, caratteristico di molta avanguardia, non è però l’unico elemento artisticamente colto. La stessa spugna, soprattutto quella colorata di blu, rappresenta un chiaro omaggio alla poetica di
Yves Klein, gigante dello scorso secolo che maturò la propria ricerca nella continua interazione multidisciplinare fra teorie teosofiche, scientifiche ed estetiche, cercando sempre di dar voce alla potenza invisibile del vuoto che governa il cosmo.
In questi cinque elementi si scolpisce lo “spazio” della gravità, mentre nell’ultimo, similare dal punto di vista formale ma da leggere in verticale, si “
disegna con la luce”, per citare le parole del curatore Valerio Borgonuovo. Trattasi, infatti, di una fotografia che immortala un poligono dipinto con un particolare e innovativo composto pittorico, in grado di trattenere i fasci di fotoni per pochi istanti. L’azione del dipingere viene meno, trasformandosi in una sua registrazione, documentazione che accresce la meraviglia di un fenomeno, la presenza dei fotoni, altrimenti impercettibile.
M. come meraviglia, quindi, data dalla scoperta di forze e fenomeni talmente infinitesimali che la nostra percezione, inadeguata a registrarli, si stupisce che essi possano esistere.
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Ecco come un giovanissimo artista dopo la mostra da federico luger a milano viene ulteriormente "artigianizzato" in una dinamica da "artista storico precoce". Già a milano si perpetuava l'archetito rassicurante dell'arte contemporanea, quì ci si focalizza sulla parte più ruffiana della mostra di milano. Non è questa la strada.
attenzione Luca... il Pozzi mena ....
Mena...vorrei approfondire il suo lavoro...non so, la mia impressione è quella...cosa devo fare...? forse mi sbaglio...ma ho quella impressione.
e se non ci fosse niente da approfondire oltre che un formalismo caricato di una falsa ricerca tra arte e teorie legate alla scienza, e quindi "irreperibili" per chi osserva il suo lavoro ?
Come artista che condivide il lavoro di Luca Pozzi, mi sento chiamato in causa a difenderlo, anche se sono sicuro non ne abbia bisogno. "La forma è contenuto, come il mezzo è il messaggio." inoltre, la forma è vuota, e il vuoto è forma, diceva Lao Tse, che nessuno sà chi è, se realmente è esistito.
Sì, il rischio è quello che per voler ostinatamente proporre qualcosa di originale si vadano a caricare i lavori con teorie scientifiche e varie. Questo provoca, inevitabilmente, un approccio supericiale e pressapochista a quelle teorie. Inoltre il rischio è che la forma non riesca a contenere quelle teorie relegandole a speculazioni sterili. Secondo me micola assael riesce a formalizzare bene alcune teorie. In questo caso la forma di quelle spugne sospese è troppo ruffiana. Inoltre è chiaro che presuppongono un magnete. Quindi anche la teroia scientifica alla base viene subito banalizzata. Mi dispiace ma a me sembra così.