Arte, prezzo e valore si pone come un’antologia di risposte, posizioni e reazioni di ventuno artisti a una trasformazione del modo di valutare e percepire l’arte, in questo caso contemporanea, e quindi gli ideali che ne stanno all’origine. Una trasformazione che, supportata da un intero sistema di strutture, istituzioni e ruoli professionali – gallerie, biennali, aste ma anche critici, collezionisti e artisti stessi -, ha aperto la strada, negli ultimi decenni, a un mercato che smuove circa venti miliardi di euro l’anno.
La selezione degli artisti presentata si muove tra posizioni estreme come quella di
Takashi Murakami che, appropriandosi del logo Vuitton, ha incarnato nei propri lavori l’idea dell’oggetto di lusso, e di
Damien Hirst, divenuto egli stesso brand con un’abilità che supera il talento creativo stesso. Un sistema studiato e mirato all’aumento delle proprie quotazioni che, gonfiate a cifre esorbitanti, di riflesso collaborano ad aumentarne il valore artistico. L’assoluta imprenscindibilità dell’opera in sé con l’impegno economico rappresentato rende Hirst – in mostra a Firenze c’è anche la porta del suo ristorante
The farmacy, venduta all’asta insieme a tutti gli altri oggetti a prezzi esorbitanti – la nuova icona del rapporto fra arte e prezzo.
Estreme, ma in senso opposto, anche le posizioni rappresentate da
Michael Landy, che in un video propone la performance durante la quale distrugge sotto un rullo tutti i suoi oggetti personali, e di
Bethan Huws, che su una bacheca scrive: “
Che senso ha darvi altre opere d’arte se non capite quelle che avete già?”.
Ogni opera esposta rappresenta una presa di posizione, ma anche un tentativo di superamento della nuova condizione in cui sembrano doversi destreggiare gli artisti, costretti a condividere l’esigenza di esprimere se stessi e la necessità-dovere di creare mercato. Da qui i linguaggi si diramano tra l’ironia di artisti come
Eva Grubinger – che con
Hype! ricolloca un gioco da tavolo simile al Monopoli nel settore dell’arte -, la provocazione e la riflessione.
E se apprezziamo il sarcasmo di
Wilfredo Prieto che, con una banconota inserita tra due specchi (
One million dollars, titolo ma anche prezzo di vendita), genera una serie infinita di immagini riflesse per dimostrare che il prezzo nominale di un’opera è del tutto arbitrario rispetto al suo valore reale; partecipiamo pure alla riflessione di
Cesare Pietroiusti.
Nella performance-installazione
Three Thousand Banknotes, lo spettatore è invitato a prendere uno dei tremila biglietti da uno e cinque dollari, trattati con acido solforico e appesi a una parete con stampata la frase “
ogni transazione in denaro riguardante quest’opera invaliderà la firma del suo autore e di conseguenza trasformerà l’opera stessa in un falso”, e a impossessarsene, pur vedendone annullata la possibilità di un riscatto pecuniario.