Nunc et in hora mortis nostrae. Amen. C’è tutto l’eclettismo di un “grande” come
Emilio Isgrò (Barcellona Pozzo di Gotto, 1937) in
Mantra Siciliano per Madonne Toscane (2007), installazione situata nell’ultima sala del percorso espositivo al Centro Pecci di Prato. C’è eclettismo e sintesi di una vita dedicata all’arte. Un’arte a tutto tondo, carica di emozioni, pensieri, concetti e gestualità. Incomparabile l’unica frase dell’
Ave Maria che non è stata cancellata. Tutto il resto è oblìo; tutto il resto, pavimento, pareti e soprattutto la statua bianca della Madonna con rosario sono invase dalle formiche che si accaniscono sul suo volto, quasi a coprirlo totalmente. D’altra parte, “
le formiche italiane sono le più veloci” sta scritto in
Formiche Ants, opera del 1998. La semplice locuzione latina fa rivivere anni nemmeno troppo lontani, quando le celebrazioni liturgiche erano in latino e il “divino” supplicato si percepiva lontano, spesso ostile e incomprensibile.
Pittura, fotografia, scultura, installazioni, poesia (
Fiere del sud, 1956), saggistica, romanzi (nel 2003,
Ultimo brindisi all’amico infame ha vinto il premio San Pellegrino) e… musica evocata. Molte le installazioni multimediali, come
La veglia di Bach (1985) per la Scala di Milano nell’anno europeo della musica e
Chopin(1979), opera raccolta in una grande sala, che è possibile ammirare in questa ampia e suggestiva retrospettiva.
Isgrò non si è fatto sfuggire nulla e non ci ha privato del suo punto di vista su molti aspetti della vita. Osservata, sentita e vagliata da un particolarissimo spirito poliedrico: “
L’arte mi serve a conoscere e rappresentare le cose, ma ciò non significa che condivida i fatti e le cose che rappresento”. E mentre molte correnti artistiche percorrono la teoria di un’arte impotente di fronte a eventi di distruzione, la scommessa di Isgrò sta nel tentativo di “
mutare la distruzione in ricostruzione costante”.
La cancellatura che ha contraddistinto tutto il suo percorso artistico serve a liberare sempre l’opera concettuale dallo schematismo della forma, sia essa sociale o linguistica. In quest’ultima, solo la
virgola si salva perché ne rappresenta “
il sale”, e l’artista la celebra in
Le virgole (1966) e in
Competition is competition (1999). La gestualità paradossale del cancellare l’inutile e il superfluo è vissuta non tanto come rimozione ma come estrapolazione in positivo di nuove costruzioni espressive e significanti di parole e immagini. La cancellatura dà linfa a nuovi messaggi; cancellatura come
catarsi, liberazione essenziale e spesso provocatoria.
La sfida al formale prende consistenza nelle sale del Pecci, dove circa quarant’anni dopo
Dichiaro di non essere Emilio Isgrò, quasi a sconfessare se stesso nei primi anni ‘70, ecco l’enunciazione positiva di identità nell’opera introduttiva che dà il titolo alla mostra:
Dichiaro di essere Emilio Isgrò. Basta il sottile spostamento di un elemento per ribaltare i piani di lettura. E in questo caso la cancellatura dell’avverbio rimuove la censura comunicativa e fa “
che ti fia chiaro / ciò che ‘l mio dir più dichiarar non puote” (
Purgatorio, XXIV, 89-90).
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Sulle 'api' di Isgrò possiamo ricordare la definizione di Rilke:
'Siamo le api dell'invisibile', ovvero sempre intenti e attenti alla trasformazione!
Elisabetta Potthoff