Non a caso la personale di
Carlo Guaita (Palermo, 1954; vive a Firenze) alla galleria pratese s’intitola
Compendio. Chi intraprende il percorso estetico delle quattordici opere esposte con millimetrica logica assiste a una sofisticata trattazione teorica, intrisa di rimandi filosofici. Ognuno dei lavori dell’artista è parte di un ciclo concettuale, descritto alla maniera di Diderot e D’Alembert: nove gruppi di cui uno, le
Prosopopee, diventa didascalia del corpus di opere presenti.
La serie di collage che richiamano l’Illuminismo e il Romanticismo, sovrapposti a elementi tecnici dei progressi scientifici del Novecento, sono un eccesso di narrazione, quasi l’allegoria dell’allegoria, il carico del passato senza cui il postmoderno non sarebbe potuto apparire così leggero e inconsistente.
Che dire dei
Vuoti (2008) deposti nella saletta laterale, simmetricamente visibili fin dall’ampio spazio centrale della galleria? L’autore spiega essere “
sculture nate intorno all’idea di vuoto e di pieno”: il vuoto della cultura occidentale, che concepisce il nichilismo come “
impossibile risposta e soluzione al mondo”, e quello della cultura orientale, che viceversa si relaziona costruttivamente con il senso del mondo e della sua interezza. Da lì, la scatola contenitore grigia e amorfa (Occidente) regge e sostiene il suo contrario di casa-pagoda (Oriente).
Fulcro da cui metaforicamente s’irradiano i lavori disposti alle pareti sono i grandi
Archivi, Senza Titolo (2009) arrotolati sul pavimento: squarci di tele visibili che evocano i temi universali della scienza e della conoscenza, di cui sono preziose depositarie.
Ma il cammino verso la verità è tutt’altro che scritto, perché l’artista – che ha esposto sia in Italia che all’estero, recentemente a Londra e a Parigi – non mira a rappresentarla, né tanto meno a raggiungere un risultato: piuttosto, il suo raffinato lavoro di catalogazione e archiviazione appare eternamente in progress, potenzialmente tendente all’infinito, realizzato proprio perché svincolato da qualsiasi obbligo rappresentativo.
In
Senza titolo (2008), del ciclo degli
Orizzonti, il resto in legno che contiene la citazione “
Paesaggio mentre si svolge” da un’opera scientifico-filosofica del Settecento, da una parte riflette la “
materializzazione della linea simbolica dell’orizzonte, dall’altra la “
simbolizzazione di una linea materiale come grado più ridotto e concentrato di scultura”.
Colpisce la sua serie dei
Collassati, non tanto per il suo impatto estetico – delicato e piacevole -, quanto per il significato che Guaita le attribuisce: “
Un’idea di pittura che collassa in se stessa come in un buco nero, energia in contrazione piuttosto che espansione”. Tanto che le tele, piccole e sovrapposte strato su strato, sono l’emblema fisico della “
perdita che si rintana nello spessore”. Un atto di chiusura estrema sul mondo.
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