Giorgio Vasari, a casa di Giovanni Battista di Agnolo Doni, lo scambiò per Mercurio. Poi, su questo piccolo e seducente idolo bronzeo, capace di incantare con i suoi gesti di danza, si erano accumulate tante interpretazioni. Troppe, tanto che Emilio Cecchi ne parlò come di un portentoso indovinello. Il tempo, alla fine, sembrava avergli prospettato un’identità certa: la divinità frigia Attis, da cui aveva sicuramente ereditato “quelle lunghe e strane brache” che lasciano scoperto il sesso, in ricordo della sua evirazione. Dopo cinque anni di restauro, Attis-Amore (1440 ca.), uno dei capolavori più celebri ed enigmatici di Donatello, torna al Bargello grazie al lavoro eseguito dall’Opificio delle Pietre Dure, che ne ha sanato la frattura al braccio e riportato alla luce le splendide policromie, facendo riaffiorare, grazie al laser, le patinature e le dorature originali. E con esse riaffiorano le curiosità mai sopite sull’originale creatura, metà angelo e metà demone, di Donatello.
La mostra, curata da Beatrice Paolozzi Strozzi, direttrice del Museo, mette in luce aspetti di grande interesse sull’identità, la committenza e il significato dello spiritello donatelliano, proponendolo come “un’inedita raffigurazione dell’Amore, nel suo significato più ampio e nella sua duplice, contrastante natura”. Mettendolo a confronto con due tra i migliori esemplari di Attis (Arte Romana, un bronzo e un marmo, I-II secolo d.c.), arrivati rispettivamente dal Louvre di Parigi e dai Musei Vaticani, se ne possono infatti cogliere, oltre alle somiglianze, alcune differenze sostanziali, come la nudità dei glutei, la coda di fauno, i calzari sfondati, i piedi deformati e contornati da serpenti. La parte superiore,
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