Tre lunghe sequenze di pancali per la movimentazione delle merci: questa la passerella su cui sfilano completi da lavoro, dispositivi di protezione e creazioni d’alta moda. Sessanta schermi proiettano, senza soluzione di continuità, immagini fotografiche e filmati che documentano, nei tempi e nei luoghi più diversi, un’umanità da sempre al lavoro.
Inaspettate, tra i fotogrammi del materiale iconografico selezionato per l’occasione dagli archivi Corbis, s’inseriscono sequenze di sfilate di moda. Perché, fin dagli inizi del Novecento, l’estetica della moda non ha mai smesso di guardare con interesse alle innovazioni operate nel campo dei materiali e dei modelli nel settore dell’abbigliamento da lavoro. Nonostante quest’ultimo, proprio in virtù delle sue qualità di durevolezza e mera funzionalità, sembri rappresentare la negazione stessa del fashion system.
In realtà, il valore funzionale dell’indumento da lavoro non si esaurisce nelle sue dichiarate prestazioni operative: vestire significa anche (ri)vestire una posizione riconoscibile nella gerarchia di un’azienda, di un’organizzazione e, soprattutto, di una società. Perché, come sentenzia
Oliviero Toscani, l’abito è “
la misura, l’immagine e il valore dei rapporti interpersonali”, e la sua prestazione protettiva ne fa una corazza per il corpo e per la mente di chi lo indossa.
Le schede tecniche dei trecento completi da lavoro (dalle salopette vintage del post-fordismo alle soluzioni più avveniristiche) e degli innumerevoli accessori presenti in mostra richiamano alla mente situazioni lavorative in cui la salvaguardia dell’incolumità fisica è davvero necessità vitale. Difficile non pensare a chi indosserà la “
tuta intera termosaldata con respiratore incorporato, resistente al calore convettivo e radiante” o il “
cappuccio per protezione integrale per ambienti ad alto rischio”.
Stridente il rumore di seghe elettriche proveniente dai diffusori audio che scendono verticali proprio sopra le orecchie dei visitatori; stridente l’intervallarsi dei cilindri in plexiglas che ospitano capi d’alta moda fra distese di elmetti, maschere filtranti e stivali antiperforazione. Settanta creazioni delle griffe più prestigiose (Hermès, Prada, Armani, Versace, Jean-Paul Gautier ecc.) mettono in vetrina la volontà di contaminazione con i modi e con le forme del vissuto lavorativo di un’umanità salariata.
Se
Yohji Yamamoto e
Antonio Marras realizzano un approccio poetico e partecipe all’immaginario minimal ed essenziale del lavoratore disadorno, altre volte l’incursione dello stilista da boutique negli scaffali delle ferramenta e delle forniture specializzate rischia di ricucire soltanto divertite citazioni irriverenti.
Forse dimenticando che, per la working class, la scelta di un abbigliamento consono all’occasione – come ricorda la segnaletica anti-infortunistica presente nell’allestimento – è davvero d’obbligo.