Comprendere l’arte accostando opere antiche a prodotti del presente è un’operazione che rinnega quelle teorie, di chiusura totale col passato, care a movimenti del primo novecento come il Futurismo. Teorie che ancora oggi tengono aperto il dibattito su una possibile continuità tra i vari periodi storici dell’arte.
All’interno degli spazi della collezione permanente, al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, la prima cosa che colpisce è la vicinanza di tele del Cinquecento o del Seicento, provenienti dal Museo Civico di Prato, con opere contemporanee. Un accostamento a prima vista incongruente ma che, a ben guardare, rivela le Corrispondenze annunciate dal titolo della mostra. Come si evince dal paragone tra il Il Cristo e la Maddalena di Giovan Battista Caracciolo detto il Battistello (Napoli,1578-1635) e il Concetto Spaziale. Attese(1965) di Lucio Fontana (Rosario de Santa Fe ,Argentina, 1899 – Comabbio, Varese,1968). Il fondo buio dell’opera del Seicento, di stampo caravaggesco, dal quale emergono le figure, rappresenta una spazialità legata ai concetti di eternità e di infinito. Una dimensione irreale che conduce alla profonda natura di Dio, uno spazio mentale che è senz’altro associabile a quello rappresentato da Fontana tramite i celebri tagli sulle tele.
L’efferatezza che caratterizza La decollazione del Battista di Francesco Boschi(Firenze, 1619-1675), in cui si nota il carnefice nell’atto di riporre la spada nella guaina dopo aver colpito il profeta a morte, la ritroviamo nelle lame conficcate nei punti di piombo che incorniciano il Senza Titolo di Jannis Kounellis (Pireo, Grecia, 1936): una doppia lastra di ferro con applicati sette tubi di rame, dai quali si sprigionano delle piccole fiamme. Il pathos che si avverte ascoltando il sibilo delle piccole lance di fuoco è il medesimo che si prova nell’osservare il gesto perentorio del guerriero Arsace mentre comunica la notizia della rivolta di Babilonia alla regina Semiramide, dipinta da Cecco Bravo (Firenze, 1601 – Innsbruk,1661).
Nel dialogo tra Panorama (1996) di Giulio Paolini (Genova, 1940) e La Visione di Santa Caterina Dè Ricci (copia dell’opera di Lorenzo Lippi del 1656) di Stefano Gaetano Neri (XXVIII sec.), l’elemento di unione è invece la riflessione sul rapporto opera/fruitore. La composizione, che segue i dettami della Controriforma, raffigura l’incontro tra la Santa e il Cristo che, sceso dalla croce, le appare dinanzi. In questo periodo i dipinti dovevano esaltare la fede dell’osservatore, trascinando il credente nella giusta atmosfera di devozione. Allo stesso modo Paolini, attraverso la fuoriuscita dalla cornice di pezzetti dell’opera accartocciata, cerca di coinvolgere lo spettatore sia nella rappresentazione che nello spazio.
Le differenze, storiche, stilistiche e filosofiche, naturalmente permangono -e sono altrettanto evidenti delle affinità-, ma lo scambio di idee tra arte moderna e contemporanea è un metodo affascinante per analizzare e rileggere un passato di cui troppo spesso crediamo di sapere tutto e un presente che rischia di sfuggirci.
francesco funghi
mostra visitata il 27 settembre 2006
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