Che
tra i due ci fosse un’amicizia consolidata nel tempo era lampante quando, sul
palcoscenico del Teatro Giglio, Giuliana Scimé introduceva il lavoro di
Eikoh
Hosoe (Yonezawa, 1933; vive a
Tokyo), mostro sacro della fotografia giapponese. Simpaticissimo fuori
programma lo sketch di Hosoe, quando “entra” nelle proprie immagini proiettate
sullo schermo, dando vita a un gioco di ombre cinesi, o come quando – felice
come un bambino – scatta foto al pubblico con la nuova Leica donatagli dal
Lucca
Digital Photo Fest come Award
2009.
Una
delle sue icone, perfetta in fatto di equilibrio formale e di sottosuolo di
fremiti, è il ritratto di Yukio Mishima con la rosa tra le labbra (1961). “
Ho
scelto la rosa perché è bella, ma ha le spine”, afferma Hosoe.
Nelle
sue straordinarie fotografie – connotate da una forte valenza psicologica e
costruite esasperando i contrasti bianco/nero, che danno vita a zone di
indefinito e di enigma – c’è sempre un riferimento alla vita e alla morte. A
chiusura di
Ba-ra-kei (
Ordeal
by Roses), il libro considerato il
testamento di Mishima (1925-1970), che si suicidò come un samurai, c’è una foto
in cui lo scrittore è rannicchiato sul divano dalla parte sinistra, mentre
sulla destra c’è un neonato.
Per
il fotografo, la vita comincia dalla morte e finisce con la nascita. Anche
nello scatto del 2005 della serie
Butterfly Dream, che inquadra il centenario Kazuo Ohno (creatore
della danza Butoh insieme a Tatsumi Hijikata), c’è un bebé di un mese e mezzo,
nudo e sorridente, sdraiato sul corpo del bisnonno.
Ospite
d’onore di questa quinta edizione di
Lucca Digital Photo Fest, Hosoe per la sua mostra
Estasi e memorie:
nuovi ‘scrolls’, antologica 1960-2005 ha
ideato un allestimento con stampe digitali su carta
washi (fatta a mano secondo i procedimenti
tradizionali), che si ispira ai rotoli su cui fu trascritto il primo romanzo
dell’umanità:
Il racconto di Genji (1001-1005).
Nelle
cinque sale del piano nobile di Villa Bottini, oltre alle fotografie che ritraggono
il grande scrittore nella sua abitazione di Tokyo, ci sono anche i
sensualissimi scatti di
Man and Woman; la natura ritrovata di
Kamaitachi, un flashback nell’immaginario infantile di
Hijikata, nutrito di fantasie e leggende. Quanto ai kimono, non si tratta solo
di fotografare un indumento, ma di raccontarne i suoi codici simbolici e
rituali: ci sono infatti kimono indossabili solo da fanciulle da marito, altri
da vedove o donne sposate, sigilli di famiglia… Insomma, un fitto linguaggio
non verbale.
Molto
più esplicita la citazione delle stampe erotiche giapponesi, proiettate sui
corpi in movimento dei danzatori Butoh, negli Asbestos Dance Studio di Tokyo (
Ukiyo-e
Projections).
Intorno
al corpo umano, quindi, ruota tutta la poetica di Hosoe che, anche quando si
sofferma (sempre in bianco e nero) sui dettagli dell’architettura di
Gaudí, di cui è un grande ammiratore, sa catturarli come
fossero corpi nudi e sinuosi, da cui trapela una grande carica vitale.