Categorie: toscana

Le vite dell’opera d’arte: in viaggio verso Giotto (e ritorno)

di - 12 Giugno 2000

Riguardo alla mostra in corso non voglio qui togliere il lavoro ad altri (segnalo il rigoroso articolo di Lucia Fenik nella sezione di Firenze di Exibart), ciò che mi interessa mettere a fuoco è l’errata e diffusa opinione che l’arte antica sia più semplice ed intuitiva a capirsi rispetto all’arte contemporanea. Alla base di questo giudizio stanno tre ordini di problemi: l’idea falsa che abbiamo dell’opera d’arte in relazione al momento storico in cui la osserviamo, la distorta opinione che si ha dell’arte antica e infine, ma connesso a questi due, le lacune che la nostra cultura generale si trascina dietro, fardello di un’educazione scolastica superficiale e difettosa.
Circa l’interpretazione dell’opera d’arte nel momento storico in cui questa è vista e visitata, cito un pensiero di Brandi che invitava a pensare come il valore e il significato di un’opera mutino in relazione all’epoca nella quale l’opera stessa si trova a vivere. Brandi, per astrazione, diceva che dell’opera d’arte, col passare del tempo, non muta solo la morfologia fisica, in conseguenza del degrado naturale, ma anche il significato di ciò che essa rappresenta. Ed in effetti il mutare della cultura, del modo di pensare e degli interessi del mondo, al trascorrere del tempo, condizionano la lettura che la collettività darà di una data opera, al punto che quella non rappresenterà più la stessa cosa, né avrà più lo stesso significato che aveva per coloro che vissero nel tempo in cui si compì l’atto della sua creazione.
Per fare un esempio, la “Maestà” di Duccio è oggi un eccezionale esempio della cultura figurativa medievale, e perciò ne ammiriamo la tecnica, il disegno, i cromatismi, la disposizione delle figure, l’impianto scenografico, e via dicendo; in verità la volontà creatrice che sta alla base della Maestà va riferita tanto all’artista quanto alla comunità cittadina senese, che la commissionò intendendo manifestare la propria grande devozione per il culto della Vergine. L’episodio della processione festante che accompagnò la mostra dell’immagine alla città di Siena, rese manifesta la volontà dei cittadini di votarsi a riconoscere in quella “vera effige” l’oggetto di un culto collettivo. Non si dava cura, il contemporaneo, di considerare un possibile, futuro, valore storico-artistico di quell’opera.
D’altro canto anche la storiografia artistica ci insegna che, col trascorrere del tempo e col mutare degli indirizzi di pensiero di questa disciplina, talora si assiste a stravolgimenti radicali di teorie artistiche che parevano consolidate inesorabilmente. Mi viene alla mente Calvesi che, nel suo studio su Caravaggio, giunge scientificamente a rovesciare il dogma che riferiva l’intera opera dell’artista alla ricerca nel segno di un perfetto realismo figurativo.
Brandi dunque ci spiega che l’opera d’arte rinasce continuamente e si reinventa nel suo significato nel corso del tempo, tanto che un’opera antica oggi, non potrà mai essere vista con gli occhi di un suo contemporaneo. Va da sé che oggi possiamo solo intuire il valore devozionale e sacro che dovevano suscitare nei contemporanei le sacre immagini di Giotto, realizzate con la tecnica rivoluzionaria che aveva fatto precipitare Dio in terra, togliendolo dalla dimensione astratta e irraggiungibile nel quale albergava dall’epoca paleocristiana (e nella quale Simone Martini, per Longhi lo “stile floreale”, continuò, mirabilmente, a ricondurlo). Questo senza considerare che le opere sacre, spesso apparendo oggi tolte dal loro contesto originario e collocate in ambienti diversi, come i musei, sono private di una parte fondamentale della loro valenza storica, evocativa e di suggestione devozionale: tali qualità erano infatti connesse al luogo per il quale l’artista e il committente, figura che oggi ha perso di significato, avevano progettato e costruito l’opera d’arte.
Ciò detto, mi sembra degno di rilievo un pensiero di Crispolti che, enunciando i principi per una corretta attività della storiografia artistica, fa notare come il concetto diffuso della facilità di comprensione attribuita all’arte antica si riferisca al superficiale approccio visivo connesso alla riconoscibilità elementare delle figure. Un atteggiamento che conduce l’osservatore a trascurare evidentemente tutto l’immaginario ideologico che l’arte antica esprime attraverso la rappresentazione figurativa.
La cultura artistica fino a tutto il ‘700, infatti, si fondava su valori ideologici codificati attraverso riferimenti assai complessi alla letteratura, alla mitologia, alla religione; e se tali riferimenti, all’atto della creazione dell’opera, risultavano chiari e manifesti ai committenti e al pubblico che di quell’opera doveva fruire, oggi, al contrario, sfuggono alla nostra sensibilità perché non appartengono alla nostra cultura. Solo con una scientifica e metodica analisi storiografica è possibile cercare di ricostruire il contesto culturale e ideale al quale si riferiva l’opera d’arte antica che, in quest’ottica, si pone oggi come una rappresentazione assolutamente ermetica e enigmatica.
Per quanto attiene all’arte contemporanea, sviluppandosi essa nel contesto sociale a noi coevo, frutto di un’idea generata a partire dal vissuto attuale, dovrebbe consentire un approccio, in linea teorica, molto più agevole e coinvolgente per il visitatore. Di più: essa dovrebbe addirittura essere percepibile nel valore originario della precisa volontà dell’artista che l’ha concepita. Allora da cosa nascono la cronica difficoltà di comprensione dell’arte contemporanea e la contestuale presunzione di poter facilmente comprendere l’arte antica? Crispolti sembra indicare lo scollamento che è avvenuto, in tempi recenti, tra artista e pubblico. L’artista non dipinge più con l’intenzione di farsi incontro all’uomo, piuttosto chiede all’uomo di avvicinarsi e di comprendere il suo atto, affrancato da qualsiasi condizionamento esteriore. Questo avvicinamento presume però, nell’uomo comune, un bagaglio culturale adatto per affrontare il viaggio. Le limitate possibilità di esperienze concrete fatte dal pubblico nei confronti dell’arte attuale e la scarsa conoscenza delle problematiche affrontate dagli artisti contemporanei misurano le responsabilità delle istituzioni deputate a garantire la crescita del livello di cultura collettivo nella società odierna; e ciò nei confronti di quel pubblico di massa che garantisce la stessa vita di quelle istituzioni e che ancor oggi guarda all’arte che dovrebbe rappresentarlo con sospetto e perplessità.

Alfredo Sigolo

[exibart]

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  • Condivido tutto ciò che è stato esposto nella nota del Sig. Sigolo. La cosa più sconfortante credo che sia non solo la voragine che è aperta tra il pubblico (che non è più fruitore della creazione artistica ) e l' artista contemporaneo ,ma il baratro che si apre sempre più tra noi e l' arte "antica".Infatti è sempre più riservata a "specialisti" la lettura delle opere antiche (anche non tanto antiche)di qualsiasi genere esse siano.In particolare i giovani sono totalmente lontani dal sapere interpretare ciò che nel passato era l'espressione della comunità politica o religiosa ed era riconoscibile da tutti perchè tutti vi si riconoscevano.Il grande richiamo degli eventi espositivi più eclatanti a volte mi fa pensare che possa diventare una moda , un dovere esserci per non restare indietro sul fronte allargato della cultura .Invidio molto l' uomo medievale che non vedeva opere d' arte ma nelle immagini sacre vedeva il trascendente fatto visibile ; nelle immagini profane un mondo ideale ; nelle immagini del potere l' odiato oppressore o l' amato protettore.
    Grazie per avere creato questo spazio di "dialogo". Cordiali saluti.

  • giotto a mio avviso è stato più volte sopravalutato rispetto ad altri artisti contemporanei a loro modo anche più innovativi.
    concordo sul fatto che l'arte antica a volte è più difficile di quella moderna.

  • - Il sonno della ragione genera mostri -
    F. Goya (1746-1828), titolo di una tavola dei "Capricci".
    Ciao, Biz.

  • L'opera d'arte rinasce continuamente, come dice il Brandi, noi non possiamo vedere l'opera con gli occhi di una persona di quel tempo, possiamo solo intuire ciò che è nelle immagini dell'artista. Oggi l'arte contemporanea, che parte dal vissuto, dovrebbe essere capita ma il pubblico guarda all'arte che lo rappresenta con sospetto e perplessità. Amare l'arte è la chiave per capirla.

  • Cara Giulia, spero tu abbia letto qualcosa di Roberto Longhi. Alfredo Sigolo è bravissimo per come si accosta e restituisce un argomento, penso che neppure lui, però, rinuncerebbe a pagine di così alta scrittura. Servono tutti e due gli aspetti e giustamente serietà, come dice Costantino, e come dimostra Alfredo, che mi piace molto. Sei sicura che sia stato proprio Goya a scrivere quel pensiero?

  • Non capisco per quale motivo per esaltare (giustamente) Alfredo si esprima, di contro, un atteggiamento di disprezzo e sufficienza nei confronti del lavoro di altre persone. Giulia... ti rendi conto che pazzesco insulto è uscito dalla tua bocca mediante la terribile citazione di Goya? Ragazzi, cerchiamo di essere più seri...

  • Ringrazio per il complimento relativo ad un artciolo datato. E' bello vedere che i lettori vanno a spulciare nella memoria di exibart, che sono un po' anche i nostri ricordi. Suggestivo...

  • Solo oggi ho scoperto questo articolo,ma sono contenta di aver trovato un osservatore analitico ed attento a non farsi influenzare dallo pseudo romanticismo che purtroppo ammorba il nostro mondo dell'arte,non salvando nessuno,nè il pubblico nè la critica.Come Goya insegna:Il sonno della ragione genera mostri.....e troppo spesso è quello che succede oggi quando ad uno studio approfondito,direi "scientifico" della storia dell'arte si preferisce un approccio prevalentemente emotivo.Complimenti Alfredo hai perfettamente sintetizzato in modo chiaro ed esauriente quello che dovrebbe essere il "giusto metodo".

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