L’impostazione preminente negli ultimi anni, che ha posto
il curatore a un livello quasi equivalente a quello dell’artista –
riconoscendogli un grado d’incidenza simile nel risultato espositivo – per
opposizione potrebbe far apparire inattuale, se non addirittura sconveniente,
l’intervento di Pier Luigi Tazzi per
Young Ladies, Old Chaps, and Some Thai
Friends.Perché nel procedere oltre l’abitudine a cui ormai si è
assuefatto il pubblico – quella di trovare, nel maggior numero delle mostre,
linee di senso troppo vincolanti – la piccola collettiva pistoiese ha osato il
recupero di una verità apparentemente rimossa: ovvero che è la curatela ad
avere assoluta necessità degli artisti, e non il contrario.
Nella comprensione e nel rispetto dello spirito che segna
SpazioA più Uscita Pistoia, definibile come possibilità di sperimentazione e
visibilità per le nuove generazioni di artisti, il critico qui ha svolto, letteralmente,
il ruolo di medium, cioè ha scelto alcuni autori e poi li ha esposti, senza la
smania di evocare o imporre significati reconditi. Ne è conseguito un effetto
assai particolare, come di una storia che tentasse di raccontarsi da sola.
I nomi sono sette; Bethan Huws, Noguchi Rika, Merv Berkman,
Boris Mikhailov, Tsai Mong Liang, Pattara Chanruechachai
e Jirayu Rengjaras. Differenti per
esperienza, formazione e modalità espressive, i protagonisti hanno però un
punto in comune: un certo legame con la marginalità. Il che può indicare, per
esempio, provenire da paesi svantaggiati oppure essersi formati in sistemi
culturali diversi da quello occidentale.
La gallese
Huws, autrice di rivisitazioni ironiche dell’arte concettuale
e minimale, oltre che con una scrittura dentro vetrina e un ready made, è
presente con acquarelli dal tono più intimo.
Rika, ragazza giapponese, porta avanti
un’indagine fotografica e poetica sulla luce. Il pittore tailandese autodidatta
Rengjaras realizza armoniose esplosioni di colore, evocando ora fiori variopinti ora
strani corpi molecolari.
Di
Mikhailov, molto celebre per la cruda serie
Case
History, ci sono
due scatti da
Yesterday’s Sandwich, sovrimpressioni fotografiche che lasciano emergere con più
evidenza, pur in un contesto di dissidenza, l’ilarità e il gusto della
scoperta.
Liang,
che è
in primis un regista cinematografico, curiosamente proietta un proprio lungometraggio
dentro uno stretto corridoio che ha funzione di magazzino.
E se
Berkman si concentra su ritratti di sapore introspettivo,
Chanruechachai invece sperimenta un processo di
stampa su fogli di giornale.
Sguardo dopo sguardo, si scoprono i moventi alla base del
progetto: la ricerca delle variabili accezioni della bellezza, piuttosto che la
costruzione d’intricate congetture filosofiche.