Sedici installazioni, due workshop di livello internazionale, proiezioni, attività didattiche e interventi site specific: la terza edizione di
Freeshout!? conferma la necessità di un’iniziativa che non solo si perpetua nel tempo, ma migliora di anno in anno. Una manifestazione che realmente riesce sia a mettere a confronto gli artisti invitati che a coinvolgere la città intera.
Il trait d’union della lunga serie di appuntamenti sono le coordinate fisiche entro le quali matura-circola-si compie l’idea. Spazi circoscritti e di raccolta, dai e dei quali è possibile superare i limiti, sono quelli in cui s’inseriscono i progetti dei giovani artisti selezionati per il concorso
You Cube!?, installazioni all’interno di cubi di 2 metri per lato. Interpretazioni libere di un segmento spaziale attraverso il quale ognuno ha legato un proprio tema. Da quello singolo e personale di
Piero in
4,100 kg è il peso della mia testa – dove tre pannelli con impresse decine e decine di volti sfocati, indefiniti, forse dimenticati in qualche angolo della memoria, circondano una bilancia che segna il peso della testa dell’autore – a quello generale e globale in
Hotel Esistenza di
Valentina Zanobelli, una videoproiezione con quaranta persone di diverse nazionalità che ripetono le parole “lutto” e “festa” a seconda del ritmo di natalità e morte del loro Paese.
Legati allo stesso solido sono i tre
Special Cubes!? di
Javier De Cea,
Gastronauts e
Leonardo Worx; quest’ultimo ha realizzato un cubo interattivo che, al passaggio dei visitatori, reagisce accendendo colonne di neon e proferendo sequenze di numeri. L’installazione, posta all’ingresso degli edifici – ci auguriamo presto completamente sfruttati – degli Ex Macelli, precede un altro dei principali interventi di quest’edizione, il muro firmato dallo street artist
Ozmo. Lavoro che, insieme agli altri interventi urbani realizzati dal polacco
Truth, è il giusto seguito di un processo di sconfinamento artistico cominciato nel 2006 da
Blu con
A very long story, in occasione della prima edizione del festival, e ben percepito dalla città di Prato.
Una città che ha confermato il proprio entusiasmo con una grande affluenza di visitatori, un’adesione che non ha impedito un’ottima fruizione dei lavori in opera e in mostra. Spazi suggestivi che hanno fatto da cornice a workshop come quello di
Mark Jenkins – il primo tenutosi in Italia – dal quale un esercito di sculture in nastro adesivo si è sparpagliato per strade e piazze; e a serate con musicisti di diversi generi e stili.
Insomma, un’edizione divertente e ricca di spunti di riflessione, eterogenea e variegata per la libertà e la fantasia che hanno connotato lo spirito delle partecipazioni, ma anche lineare e coerente con il percorso già intrapreso nei primi due anni e con le aspettative prossime.