“…fascistiiiiiiiii su Marteeeeee…” urla Guzzanti nei panni di Scafroglia. tant’è, con tutto il rispetto per i copy, gli art director, i grafici (ma che bello il logo disegnato da PierLuigi Cerri, tre lettere nei tre colori primari e quella “t”, dormiente nel suo nero-non-colore) dalla martellante campagna promozionale (“Spedizione su Mart“) avevamo memorizzato sopratutto il tormentone guzzantiano e proprio quello si fischiettava il giorno dell’inaugurazione, percorrendo la via centrale di Rovereto, corso Rosmini, che porta dalla stazione vagamente dechirichiana verso lo straordinario, nuovo Mart dove abbiamo incontrato tutti tranne il mitico Scafroglia che secondo noi ci sarebbe stato pure bene.
Tanto per intimidirvi, subito qualche numero: 50 milioni di euro investiti nell’operazione, 5.600 mq di spazio espositivo, un auditorium di oltre 430 posti e più di mille metri quadri di biblioteca ed archivi.
Sul museo, inteso come istituzione, non si capisce perché dal Direttore Belli al Presidente della Provincia autonoma di Trento Dellai tutti si affannano a dire e scrivere sul catalogo: “non chiamatelo museo!”. Perché, cos’è? Parafrasando Giobbe Covatta (ve lo ricordate? quando faceva il leghista e diceva: “non sono io che sono razzista, sono LORO che sono napoletani !”) non è QUESTO che non va chiamato museo, ma sono gli altri (non tutti, per fortuna, ma molti si) che non sono degni di questo nome. Questo è un museo comme il faut, con le sue collezioni, con le altre collezioni ospitate, con i suoi archivi, la sua biblioteca, il suo auditorium.
Sull’architettura di Mario Botta e Giulio Andreolli , tutto il bene possibile, un progetto figurativamente agli opposti del Guggenheim di Bilbao, così modestamente inserito nel tessuto architettonico preesistente questo, quanto roboante e sfacciato l’altro, ma probabilmente tanto simile per le implicazioni e le ricadute economiche e sociali, lo speriamo, sul territorio.
Una sola domanda, in un progetto che fa dei materiali, come la solare pietra gialla di Vicenza del rivestimento esterno e l’acero chiaro dei pavimenti delle sale, un punto di grande forza e raffinatezza, che c’azzecca, nel pavimento di alcuni percorsi interni, il granito nero dello Zimbabwe?
Sulla mostra inaugurale Le Stanze dell’Arte, poco da dire, o meglio poco da criticare: bellissima, completa, sapientemente allestita nei vasti spazi ben dimensionati ed illuminati, alcune stanze-sezioni di grande effetto per me, fra tutte, La misura classica, dove i vari Campigli, Casorati, Dalì, Oppi, Severini e Sironi sono rappresentati da straordinarie figure classiche realizzate nel periodo di riflessione post futurista alla fine degli anni dieci e I percorsi del silenzio, da Kandinsky a Licini, Melotti, Mirò, Henry Moore e Morandi .
A voler proprio essere pignoli qualche piccolo difetto lo si trova, da qualche didascalia mancante, ma si sa all’inaugurazione può succedere (magari quella dello sformato verticale di rotelle di orologi opera di Arman è stata asportata da un aficionado o dal privato prestatore luganese), alla defenestrazione last-minute di qualche autore: la “Struttura ghiacciante” di Calzolari, annunciata sulla guida breve al percorso espositivo e nell’elenco delle opere del giornale della mostra, l’abbiamo inutilmente cercata… d’altronde da una sezione della mostra intitolata I luoghi dove le cose non cessano di mutare ce lo potevamo anche aspettare.
franco melis
visitato il 14.12.02
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Devo fare i miei complimenti a chi ha sviluppato il sito internet di "Mart" perchè è fatto veramente bene!
Complimenti al ritorno di Franco Melis.