Crepuscolo degli
idoli ovvero come si filosofa col martello.
Se per Nietzsche era necessario distruggere per conoscere,
Monica Bonvicini (Venezia, 1965; vive a Berlino)
infrange per contraddire. Infrange simboli, postulati, assiomi su cui il
Modernismo ha eretto le sue architetture.
Non è la prima
volta che l’artista veneta è chiamata a intervenire in uno spazio museale, in
un
white cube che richiama con le sue pareti vetrate l’utopia modernista del tutto è
visibile, tutto è trasparente. Ma, attraverso il suo intervento, continuità e
flusso spaziale fra interno ed esterno sono interrotti. Restano solo visioni
ostruite. Da un lato e dall’altro si ergono barriere che occludono la visione:
pannelli, simili a quelli utilizzati nelle officine per dividere gli spazi,
sono il supporto per diverse serie di fotografie.
Lo spazio in cui
approda il visitatore è quindi delimitato. L’uso dei pannelli forati o del
vetro spinge a guardare attraverso, a interrogarsi sul concetto di trasparenza,
mescolando dimensioni contrarie. E combinare insieme i diversi punti di vista
diventa il filo conduttore della mostra.
In
No Head Man il
white cube si rompe, si sfalda alle prese
con business men che, piuttosto di abitare lo spazio, lo infrangono, “perdendo
la testa”. È uno spazio asettico, in cui a regnare è l’incomunicabilità.
Al di sotto della
“facciata” si agita il mondo dei “
construction workers”. La serie
Nude in the
workshop mostra
officine e laboratori, luoghi trascurati e simboli dello sfruttamento come del
desiderio. È da dietro questi muri che l’artista segue il processo di
costruzione dell’identità sessuale attraverso l’architettura e il suo ambiente.
Nei laboratori dismessi, unico motore vitale diventano i nudi femminili che
tappezzano le pareti.
L’idea del
lavoratore edile, rappresentante di una mascolinità aggressiva, fluttua invece
nel suo opposto, nell’immaginario gay. Da un lato compare la grande
installazione
Stonewall III, lastre di vetro infrangibile montate a creare una sorta
di barriera. I vetri rotti alludono all’episodio della prima ribellione gay in
un celebre locale, lo Stonewall di New York. Lo scenario è quello di una
performance che si è appena conclusa, lasciando le sue tracce e i suoi resti.
Nello spazio vuoto
che si estende dietro l’installazione campeggia la scritta
Architecture Is
the Ultimate Erotic Act. Carry It to Excess, a macchiare il “purismo” dell’architettura
rivelando l’aspetto del desiderio che muove ogni rivolta e ogni spirito del
costruire: “
Non c’è rivolta senza architettura”.
Questa
critica, che si fa anche affronto all’estetica del quotidiano borghese, si
concretizza in originali soluzioni formali, come nei noti
Leather Tools, martelli e attrezzi da lavoro
ricoperti di pelle nera. Carica sensuale connessa all’idea di costruzione o
distruzione.
L’armonia è
un’utopia per Monica Bonvicini. L’architettura la insegue, l’arte riesce a
slittare tra diverse prospettive e non ha paura di “sporcarsi”. La forza d’urto
dei suoi messaggi si chiude sull’immagine potente di un vetro infranto. Non ci
sono mediazioni, perché
What you see is what you get.
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OH cavolo lei è brava.
ancora complimenti all'artista
e ti pareva che a luca rossi/enrico morsiani piaceva l'artista più commerciale e banale in circolazione.
Vabbè Andrea Bruciati ha gusti pessimi, ma questo si sapeva!!!!
Eheh..commerciale...ma come parli parli Andrea??o chi
per te....la bonvicini e' nata negli anni 90..si puo' permettere di essere "commerciale"..sono altri che dovrebbero nascondersi
Per quanti decenni dovremmo ancora supportare queste cagate?