Altro che influenza dei polli, il virus-impressionisti è molto più duro a morire. La tentazione è forte: chilometriche file alle casse, massima visibilità, pile di rassegna stampa che Mario Merz ne avrebbe fatto un’installazione. E anche il Mart, alla fine, ha ceduto al fascino di Manet & Co., con una mostra goldiniana fin dal nome, ripreso a metà da Da Van Gogh a Picasso, da Corot a Monet, tenutasi a Belluno nel 2004.
Ma al di là dell’ovvia e senz’altro benvenuta abbuffata di visitatori, questa mostra merita senz’altro altre e più lusinghiere considerazioni. Qui, a differenza di Treviso prima e a Brescia ora, non si ostentano solo dei nomi alle folle, come un tempo si faceva con le reliquie dei santi. In questa mostra i ‘nomi sacri’ ci sono sul serio, e tutti di primissimo piano. Ma l’autografia è qui impressa su sessanta opere d’arte che sono capolavori assoluti, quelli che più o meno tutti hanno conosciuto fin dai manuali scolastici; a partire da Colazione dei canottieri di Renoir, forse il più bel quadro mai dipinto dall’artista e ripreso pure da alcuni film, come in Il favoloso mondo di Amelie.
Demiurgo di questa straordinaria collezione -oggi nucleo di uno dei più importanti musei al mondo- fu l’americano Duncan Phillips, che la sudò pezzo per pezzo a partire dal 1918, ricercando la modernità più coloristica ed emozionale, senza però dimenticarsi di quei maestri che la modernità la precorsero di secoli. Il percorso, al contempo sobrio ed elegante, si apre infatti con un’opera di El Greco, la cui commovente religiosità si esprime per deflagrazioni luministiche nel buio. Quest’opera, raffigurante il Pentimento di S. Pietro, è affiancata da una tela di Goya con lo stesso soggetto, pregna però di una religiosità tutta popolare. Intensa più che mai la natura morta di Chardin, che sembra anticipare di due
Ad accoglierci c’è un Manet dalle reminescenze goyane e, poco più in là, Degas con i suoi soggetti più cari, le ballerine e le tenere adolescenti che si pettinano. L’impressionismo più diafano ed atmosferico è invece ben testimoniato da un paesaggio innevato di Sisley e da due opere di Monet che valgono da sole –un po’ come tutte le opere esposte- la mostra. Ben documentata pure la fase post, con opere di Cézanne, Gauguine Van Gogh.
Se la sindrome di Stendhal non vi ha ancora accarezzati, non temete. Dietro all’angolo il percorso continua con l’intimismo di Bonnard e Vouillard, il fauvismo di Matisse e Dufy, il cubismo di Picasso, Gris e Braque, l’astrattismo di Klee, Kandinsky e Feininger…
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Ciao, bella recensione
però secondo me non si è trattato di cedere e fare una mostra "goldiniana"... almeno per un motivo: non è stato il Mart ad andare a cercare queste opere, questa mostra, la Phillips Collection. Ma è stata l'importante collezione americana a bussare alle porte del Mart ( e si può dir di no?). Perché la sede a Washington è in restauro, e il fior fiore di opere europee è stato portato in Europa. Tappe: a Rovereto e a Parigi. Ed è stato contattato il Mart perché era uno dei pochi musei europei che garantiva adeguate misure di sicurezza.
Poi, come hai scritto, la qualità è eccelsa. La mostra poi è piccola e quindi ancora più godibile! Insomma, come ha detto Duncan Phillips quando ha comprato "La colazione dei canottieri": la gente farà migliaia di chilometri per venire a vedere questo quadro. Per me dovrebbe succedere lo stesso - poi io abito a 3 km dal Mart :-)