La personale di
Serse Roma (San Polo di Piave, Treviso, 1952; vive a Trieste), allestita a pochi passi dal Lago di Garda, presenta una lettura fresca e peculiare del paesaggio naturale, in una regione dove il paesaggio è principe.
Attraverso una selezione di lavori più o meno recenti, ha riempito lo spazio con atmosfere vibranti dal forte impatto visivo, ma al tempo stesso cariche d’innumerevoli spunti e suggestioni meditative. La sua voce risuona infatti solitaria nel panorama pittorico contemporaneo: risulta a metà fra pittura e disegno, ma anche tra figurazione e astrazione.
Al primo sguardo, i grandi pannelli in bianco e nero di alluminio possono confondere, tanto è forte la loro somiglianza a ingrandimenti fotografici, a quell’iperrealismo tipico della fotografia digitale. I riflessi di un canneto sulle placide acque d’un lago sono resi con dovizia estrema di particolari, così come la schiuma delle onde di un mare agitato o il fusto imponente di un albero. Quest’analisi minuziosa contrasta fortemente con il formato e il taglio dell’immagine: i dettagli messi a fuoco coprono l’intera superficie, risultando soffocati dallo spazio della superficie pittorica.
Il soggetto naturale, estremizzato nella sua forma, si trasforma in oggetto inanimato, diventa astrazione, nella convinzione dello stesso artista “
di vivere un paradosso: disegno un paesaggio analitico, scientifico fin nei dettagli, tirato fino al limite delle possibilità descrittive che arriva fino all’estensione più lontana dei piani prospettici e contemporaneamente affermo la sua irrappresentabilità, la sua incoerente negazione”.
I suoi frammenti di natura agiscono quindi come tramiti attraverso i quali si compie un tentativo di rappresentazione perfetta del dato naturale, mentre allo stesso tempo si afferma l’impossibilità di giungere a tale risultato.
I lavori di Serse non si esauriscono nella dimensione del quadro, che piuttosto inglobano, rendendolo oggetto reale. Nella sensazione di spiazzamento che generano, i pannelli rimandano a una situazione senza tempo, in cui ogni coordinata è persa; con una sosta, sospendono dal ritmo caotico della società contemporanea, aprendo uno spiraglio sull’idea d’infinito che si nasconde nel particolare, nel banale, nelle piccole cose.
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