Con immagini fotografiche, un video di documentazione e le opere tessili di alcune popolazioni indiane lo spazio bolzanino affronta la tematica del ricamo come espressione di un’identità non sempre riconosciuta. A comunicare questa difficoltà attraverso l’uso della pratica antica sono Jat, Sodha, Meghwar, Mutwa e Rabari. Sono le principali tribù discendenti dai nomadi dell’Asia centrale che si sono insediate da oltre duemila anni nel deserto della zona occidentale dell’India. Vivono di pastorizia, del poco che riescono a raccogliere da una terra arida e le donne, oltre alle usuali mansioni, ricamano. Le bambine non vanno a scuola, ma vengono indirizzate al ricamo, indispensabile per la dote. “Se la dote è troppo povera – testimonia una donna nel documentario proiettato nella mostra ad accompagnare i tessuti presenti – i suoceri bruciano la ragazza”. La prevalente religione Musulmana relega infatti la donna all’ultimo gradino della scala sociale, considerandola un mero mezzo per la procreazione e una serva del maschio. Di stampo fortemente patriarcale comunque sono anche quei gruppi etnici che professano l’Induismo. E il mercato dei tessuti, che ha preso il via circa una ventina di anni fa, dà visibilità al frutto di questa pratica, a lavori che inevitabilmente attraggono per la loro spettacolare fantasia e giocosità, sia nel disegno che nell’abbinamento dei colori delle stoffe
La mostra dove vengono presentate queste opere tessili è stata realizzata in collaborazione con la Cooperativa Indiana Kutch Mahila Vikas Sangathan (KMVS), l’Organizzazione per un Mondo Solidale e la Biblioteca Culture del Mondo. La curatrice Simona Stoppa l’ha concepita in seguito al terremoto nel gennaio 2001 che ha fortemente colpito la zona, per offrire alle artigiane la possibilità di un’entrata capace di risollevare una situazione economica estrema.
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