Se non si sapesse che la scultura nell’arte contemporanea è la grande assente dalle pratiche dei nuovi linguaggi e dei giovani artisti, vedere le opere di
Giuseppe Capitano (Campobasso, 1974; vive a Roma) nelle sale del Mart di Rovereto non risulterebbe strano. Ma, essendone coscienti, avere nella serie di mostre
Young in the future, focalizzata sugli artisti nazionali e internazionali under 35, un giovane artista che fa scultura non può che stupire.
Con grande ironia nella scelta dei soggetti proposti, Capitano si muove in maniera disinvolta fra i materiali utilizzati: marmo, polistirolo, plastica, acciaio, ferro, legno, spugna e, soprattutto, canapa. Marmo e canapa sono materiali lontani l’uno dall’altro, la durezza e la morbidezza, la freddezza e il calore. Qui però convivono e dialogano per approdare a una poetica leggera che strappa il sorriso. Tanto che le sue opere dimostrano che, nella contemporaneità, non tutti i materiali sono obsoleti.
Qualunque cosa, qualunque materiale è attuale in quanto mezzo per esprimere un concetto, purché aggiornato in una ricerca di stile e di linguaggio. Ricerca dalla quale Capitano non è esente e che sta in quell’atto di riproduzione della realtà proposta in un’elaborazione che però la trasfigura. Ed è proprio in ciò che si creano le differenze tra gli artisti. Nella capacità -chi più, chi meno- di presentare una visione del mondo in grado di innescare un forte grado d’interazione con chi guarda l’opera.
La visionarietà, l’ironia e anche una forte connotazione interiore di molte sculture riflettono le sue ricerche,
che mirano a una semplicità comunicativa ed espressiva, mai risolta definitivamente. Le opere di Capitano nascono dallo studio degli oggetti, dalla loro struttura.
Sono presenti in mostra una serie di graffiti e fusaggini su carta, che dimostrano quanto sia alta l’attenzione per arrivare a una forma. Il fatto che prima ci sia un disegno e poi una forma non è un metodo per lui, ma sicuramente è il punto di partenza di un’idea che è stata fermata. Lo si capisce perché l’obbiettivo non è quel primo spunto disegnato, ma è il ponte che porta alla forma.
Nascono così
Reggipetto (2005),
Foglia (2005),
Ciglia (2005) e
Innesto (2006), che non sono mai sculture solo di canapa, ma sempre interagenti con altri materiali più forti, dal marmo all’acciaio e al metallo. L’invito è ad avvicinarsi senza preconcetti all’opera, fuori dai luoghi più o meno retorici dell’arte.
In
Touché (2005) la punta del dito indice, in marmo, preme sulla parete un brandello di canapa, che sembra sostenuto proprio da quel dito, e non può che richiamare una vena surrealista. In altre opere il richiamo duchampiano è molto più accentuato, come in
Doppiogioco (2007), o ironizzato, come in
Scarpe (2007) e
Qualcosa di giallo (2007).
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uno degli artisti più raccapriccianti in circolazione