Il Trentino Alto Adige s’arricchisce di un’altra prestigiosa realtà: il nuovo Museion. Un po’ come fu per il Mart nel 2002, il salto qualitativo tra il prima e il dopo (Museion inizia l’attività espositiva nel 1987) è decisamente notevole. L’architettura, innanzitutto, realizzata dallo studio berlinese
KSV – Krüger Schuberth Vandreike: un parallelepipedo in vetro e acciaio le cui facciate fungono al contempo da pareti modulabili per un’illuminazione ottimale e, al calar della sera, da schermo per una suggestiva opera di
Anri Sala, il tutto innestato simbolicamente tra città antica e città nuova, senza dimenticare il doppio e sinuoso ponte d’accesso che, oltre a essere percorribile da pedoni e biciclette, può anche essere visto come una dinamica scultura nello spazio. Degna di nota la cura con cui sono stati realizzati numerosi dettagli, roba da museo del design: dagli indicatori di piano realizzati in legni diversi fino alle sedute delle postazioni video della biblioteca, costituite da lastre d’acciaio rivestite da uno spesso strato di feltro.
La
vision del nuovo Museion è semplice quanto ambiziosa: dilatare l’impegno fin qui dimostrato nella ricerca tra i rivoli del contemporaneo, senza dimenticare di gettare sguardi a ritroso, alla ricerca delle radici ultime della contemporaneità. Il tutto, naturalmente, in una dimensione transnazionale, forte di partnership intrecciate con importanti realtà straniere, senza però venir meno alle molteplici collaborazioni attive con il fibrillante tessuto locale, in primis l’università. Come in passato, il nuovo Museion sarà caratterizzato da una ricerca fortemente interdisciplinare: arti visive, certo, ma anche cinema, design, architettura, danza e non ultima la musica (non per nulla la mostra che aprirà nel prossimo autunno sarà dedicata ai
Sonic Youth).
Tali intenti sono del resto ben condensati nell’esposizione d’apertura,
Sguardo periferico e corpo collettivo, il cui percorso si sviluppa attraverso tutti i quattro piani del museo. Sotto lo sguardo vigile di un enorme ranocchio crocifisso, opera di
Martin Kippenberger giocoforza censurata poco dopo l’opening, ci si addentra in un susseguirsi di oltre duecento opere tra cui spiccano, per numero e dimensioni, i video, spesso presentati su pellicola. Tra i più poetici e onirici,
What will come di
William Kentridge, dedicato alla guerra e realizzato con l’antica tecnica dell’anamorfosi. Il passato vestito a nuovo è anche al centro dell’efficace video di
Dias & Riedweg, basato sull’interpretazione di un testo colonialista del Cinquecento, messo in scena da alcuni ballerini delle favelas di Rio de Janeiro.
Muovendosi sempre tra una visione poetica e una lettura critica delle strutture sociali che ingabbiano l’individuo nella collettività, i lavori datati -da
Duchamp a
Manzoni, da
Morris a
Brus, da
Meireles a
Fontana, per fare solo qualche nome- sono affiancati naturalmente da opere più recenti, come quelle di
Cattelan (dall’irriverente
Charlie don’t surf alla fotografia della sua
Hollywood made in Palermo). Tra le recentissime,
The louder you scream, the faster we go di
Phil Collins (vincitore del Turner Prize 2006), protagonista una classe di danza composta da anziane signore, e il progetto di una sorta di rivista d’artista di
Guy Tillim, uscita come supplemento al periodico “Le Phare” e dedicata alle controverse vicende del Congo.
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una delle mostre, purtroppo, meno azzeccate degli ultimi anni
ma l'articolo non dice praticamente nulla!!! Eppure da dire ce n'era...