Importanti nella figura di Ettore Sottsass sono soprattutto il suo atteggiamento e la sua filosofia, completamente liberi da luoghi comuni e pregiudizi, da formalismi che spesso paralizzano la creatività e la relegano ad una stanca ripetizione di modelli. La sua apertura mentale è del resto dovuta anche all’instancabile muoversi, che lo ha portato ad assimilare culture lontane come quelle orientali oltre che a compiere lunghi soggiorni negli Stati Uniti.
Con la consapevolezza del naturale eclettismo caratteristico dell’architetto, la mostra, curata da Gabriella Belli e Milco Carboni, si discosta dunque da quelle che hanno documentato l’attività di Sottsass legata al design industriale, e presenta, invece, quella produzione che lo vede protagonista della ricerca di nuovi materiali e di nuove soluzioni cromatiche da adottare per la progettazione. Esposti sono quindi gioielli, vetri, le famose ceramiche e i mobili. Un aspetto, quest’ultimo, della sua creazione visto molto, ma forse ancora poco indagato criticamente.
I gioielli presentati hanno una datazione che va dagli inizi degli anni Sessanta ai giorni nostri e non sono stati mai esposti in così vasto numero, mentre i lavori in vetro dimostrano l’espressione di una produzione che ha assorbito la ricerca di Sottsass per molto tempo. I primi vetri sono vasi caratterizzati da combinazioni cromatiche inconsuete, più che essere delle vere innovazioni formali dell’oggetto. In seguito, con altre realizzazioni sempre in vetro, Sottsass comprende come questo materiale offra possibilità costruttive molto più complesse. Inizia quindi ad utilizzare la colla unendo pezzi di vetro al vetro stesso, ma anche ad altri materiali come il legno, il marmo e il ferro. La colla gli permette così di innescare, con un approccio da architetto, una vera e propria costruzione della forma vitrea, dando risultati sensoriali ed astratti del tutto nuovi agli oggetti creati.
Importante è anche la sezione dedicata alla ceramica, dove la parte principale è costituita dalle Ceramiche delle tenebre del 1963, nate in un periodo di sofferenza che ha fatto scaturire, come fantasmi, “righe, segni, geometria e figure, ma anche grandi uccelli dal becco e dalle grandi ali e dalle lunghe gambe”. Anche i mobili sono presenti in mostra. E di tutti periodi, tanto da far comprendere quanto innovativo sia stato il modo di progettare di Sottsass nel processo di rinnovamento dell’aspetto del mobile moderno.
Un grande rilievo -e non poteva essere altrimenti- è stato dato, nella seconda sezione della mostra, all’aspetto architettonico della sua produzione, toccando tutte le fasi che hanno costituito la sua poetica. Creare una casa, per Sottsass, significa costruire dei vuoti che a loro volta saranno suddivisi in altri vuoti interni, piccoli o grandi. Vuoti necessari, che gli uomini riempiono di cose pensando di essere protetti dalle incognite e “ da un’insieme insistente, asfissiante, pesante, sottile di convenzioni ” pronte a premere dall’esterno. Ma questi vuoti devono avere anche una riconoscibilità di natura formale, trovata dall’autore in archetipi assimilati da culture come quelle orientali, indiane e giapponesi. Le architetture di Sottsass rappresentano, quindi, delle risposte formali all’esigenza di segni visibili e di codici decifrabili. Per poter avere un equilibrio maturo tra esistenza e vita contemporanea.
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