La ricerca di Rafel Pareja (Trento, 1972; vive a Roma), nel progetto realizzato alla galleria Buonanno, dimostra di aver raggiunto una forte maturità, liberandosi da ogni prevaricazione del media tecnologico e da ogni sovrabbondanza dell’immagine, per sintetizzarsi nell’essenzialità del disegno e nella forte carica evocativa insita nel recupero di una simbologia atavica. Quella a cui dà forma attraverso questa pura essenzialità è un’epopea dello spirito, mostrata dal profondo.
Una foresta e una distesa vuota, il fuoco e la neve, una casa senza il tetto e un bunker senza finestre, un corridoio con tante porte ma nessuna uscita e una finestra sbarrata, un individuo solitario raggomitolato come un feto e un cervo silenzioso e immobile che lo osserva. Sono queste le presenze simboliche dell’esperienza interiore contraddittoria raccontata dall’artista, in un succedersi privo di soluzioni di continuità. Nello story board di ventidue tavole ad inchiostro su carta, nelle quattro opere in cui si avvale del tratto appena accennato della punta d’argento, e nelle immagini digitali.
Anche se a prevalere sulla successione delle scene è la costante della simbologia, la sequenza di disegni -in cui c’è una calibratissima alternanza di tavole chiarissime e di altre dominate dal nero- mostra il percorso di perdersi e cercarsi all’interno di una foresta di alti e fitti tronchi: ogni certezza svanisce quando nella prima scena il tetto della casa di legno va in fiamme e l’intimità è intaccata.
Osserva tutto, perplesso e immobile, un cervo, che segna un legame inscindibile dell’uomo con la natura. Ma il protagonista, regredito ad uno stato fetale in cui è ritratto privo di identità e di appartenenza, privo di un volto, si trova di fronte a un bunker di cemento, isolato nella distesa di neve di Lost Irid. Una volta entrato non c’è uscita, solo una piccola apertura nella casamatta, una finestra quadrata che pare svanire nel tratto lieve della punta d’argento sulla superficie dell’opera nebulosa come un’atmosfera onirica.
In questo continuo perdersi e ritrovarsi c’è un unico atto preciso in Born Again: una mano alza al cielo un liquido candido, tanto abbagliante da non essere nemmeno latte, da non essere nemmeno un elemento naturale capace di riconciliare l’uomo contemporaneo con la sfera della natura. Piuttosto appare come una sostanza artificiale, anch’essa ingannevole. Ingannevole proprio come l’atto di chiudersi in una fortezza inespugnabile, di chiudersi al confronto con l’esterno, al contatto con la realtà.
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www.rafaelpareja.com
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bravo!!! Rafel
Questo è un vero artista!
Sostanza e raffinatezza, un connubio perfetto.
Bravo
Bravo, sempre meglio!
Lavoro interessantissimo.
Da seguire.