Un anno dedicato al paesaggio quello che volge al termine alla Galleria Civica Segantini di Arco: dopo le personali consacrate a paesaggisti significativi a livello internazionale, si chiude con una mostra interamente riservata a
Salvo (Leonforte, Enna, 1947; vive a Torino).
Le tele in mostra coprono un periodo produttivo d’un trentennio, dalla fine degli anni ‘70 a oggi. La mostra sceglie però di non affrontare l’opera dell’artista attraverso un ordine cronologico. E il motivo di questa scelta si deduce immediatamente: scorrendo le sale dell’esposizione, nelle quali lo stesso tema è ripetuto in una serie infinita di varianti, balza agli occhi come in questi lavori dell’artista di origini siciliane sia impossibile rintracciare una qualche “evoluzione” formale o espressiva. Le tavole e le tele alle pareti parlano di un paesaggio immutabile e immanente, in cui ogni rimando alla dimensione temporale è annullato.
La riflessione puramente formale non è di primario interesse per Salvo, che alle velleità stilistiche e alle colorazioni aneddotiche preferisce un approfondimento sugli assunti elementari della pittura.
La realtà viene perciò distillata nelle sue componenti elementari di forma, luce e colore. Attraverso di esse, la sensibilità dell’artista ricrea un paesaggio fatto non solo di elementi fisici, ma di sensazioni che assumono una consistenza plastica, quasi palpabile.
Come di fronte a un quadro astratto, che fornisce gli strumenti per la propria lettura ma non le istruzioni per usarli, anche qui ci si trova a giocare con i tasselli che l’artista mette a diposizione. Il paesaggio che ricomponiamo non è univoco, ma si completa nell’immagine che ognuno costruisce nella propria mente, a partire dall’esperienza soggettiva. Perché quegli elementi, così vicini e così distanti dalla descrizione realistica, sono a ben vedere forme in noi presenti a priori, forme che danno immediatamente la sensazione del già visto o del già vissuto.
Che la semplificazione messa a punto da Salvo non sia mera banalizzazione, ma il frutto di un setacciamento attento e consapevole, è dimostrato dal suo percorso artistico. Salvo si avvicina ben presto alla rivoluzione linguistica che il gruppo dell’Arte Povera andava delineando a Torino, dedicandosi a una ricerca che coinvolge il concetto di arte in sé e la connotazione della sua istituzione. Negli anni ’70, deluso dallo svuotamento di significato subito dal movimento rivoluzionario che aveva vissuto, abbandona queste sperimentazioni per compiere una scelta anticonformista: abbracciare la pratica artistica definita accademica per antonomasia, cioè la pittura figurativa.
In un momento di sperimentazione estrema su tutti i fronti dell’arte come quello attuale, l’opera di Salvo rimane significativa per il suo proporre una ricerca di rinnovamento che non passa per una negazione completa degli elementi classici, ma per una sovversione interna. Che mantiene i generi per stravolgerli mediante i loro stessi strumenti.