La contrapposta visione del mondo che si sviluppò negli anni della Guerra Fredda segnò non solo la scacchiera geopolitica mondiale, ma anche le coscienze e l’immaginario collettivo. Il vagheggiato
migliore dei mondi possibili si presentava attraverso due opposte visioni: da una parte l’utopia del socialismo reale, crollata definitivamente nel 1989 assieme al muro di Berlino; dall’altra le
paillette del libero mercato, drasticamente ridimensionato dall’attuale crisi economica globale.
Attorno agli anni che dal 1945 giungono al 1970, il Victoria and Albert Museum di Londra ha progettato un percorso scandito da ben duecentocinquanta oggetti, che raccontano la Guerra Fredda al di là d’ogni luogo comune.
Un primo nucleo di opere conduce nel cuore delle tensioni fra Stati Uniti e Unione Sovietica, dallo spionaggio che ispirò innumerevoli film – alcuni riproposti lungo il percorso – all’incubo di un attacco nucleare. Così, accanto a opere di
Fontana e
Baj (ideatore del Movimento nucleare), si trovano oggetti curiosi come un elegante orologio che cela un microfono del Kgb, o
ppure un progetto di
Paul László per un bunker antiatomico composto da un susseguirsi di ambienti angusti, sormontati – quasi a sottolineare un’idea di apparente normalità – da peschi in fiore.
Naturalmente il campo militare non fu l’unico in cui si giocò la partita per la supremazia planetaria. Un decennale terreno di sfida fu la conquista dello spazio, inaugurata nel 1961 da Juri Gagarin, il primo cosmonauta della storia. Oltre alla proiezione di film immortali come
2001 Odissea nello spazio, la mostra propone materiali insoliti, come progetti per interni di navette, tute spaziali e perfino uno Sputnik. Accanto a tali prodigi della tecnologia del tempo, sono state collocate alcune opere di design riferibili a entrambi i fronti, ispirate a quelle forme così avveniristiche: da una poltrona a foggia d’uovo di
Peter Ghyczy a un’aerodinamica macchina per il caffé espresso di
Gio Ponti, fino ai televisori-elmetto di
Walter Pichler.
Nemmeno l’architettura rimase immune alle logiche della “cortina di ferro”. La sfida coinvolse sia la progettazione di case popolari di stampo razionalista – a iniziare da quelle di
Le Corbusier – che l’architettura monumentale, come nel caso della colossale torre della televisione moscovita, progettata nel 1967 da
Nikolai Nikitin.
Sebbene non siano mancati tentativi di pacificazione – li ricorda, oltre ad alcuni manifesti, un foulard disegnato da
Picasso nel ‘51 per un festival pacifista -, a dominare l’immaginario grafico di quegli anni sono le iconografie della propaganda. Dietro le barricate dell’ideologia si scrisse infatti un capitolo fondamentale della storia della grafica, quello del manifesto politico: dal pop-maoismo cinese ai caldi colori dell’internazionalismo grafico cubano, dai manifesti russi, marcatamente realisti, alle
affiche serigrafiche vergate con irriverenza dagli studenti dell’
Atelier Populaire nel caldo maggio parigino del 1968.