Se ne dice male o se ne dice bene. Non ci sono mezze misure quando si parla di Matteo Basilè (Roma, 1974). Fu esordiente -come si sa- appena ventenne, così come alla fine degli anni Novanta fu uno dei primi artisti della sua generazione ad introdurre l’elaborazione digitale in maniera sistematica in campo artistico, dando allo stesso tempo alle sue fotografie un impianto profondamente concettuale. Ed ora entra nella sala progetto del prestigioso Mart.
Qui prosegue il percorso riguardante le trasformazioni del gender, passando dai trans neobarocchi dell’ultima personale ai folli e ai santi (nei quali -si sa- abita un germe di follia), ma rimanendo sempre coerente. Cambiano infatti i soggetti ma il discorso di fondo e la poetica non mutano. Il sacro e il profano vanno sempre a braccetto all’interno delle sue sottili manipolazioni tecnologiche: come sempre sono presenti una raffinata ricerca dell’identità attraverso la visione di una bellezza non sempre perfetta e mai edulcorata, alterata e stucchevole, e l’utilizzo di una modalità fotografica digitale patinata e ripulita. Questa ora rasenta quasi la perfezione formale, cancellando quei segni di disturbo che in passato erano divenuti elementi caratterizzanti e marchio e tendendo verso una nuova fase che guarda ad un colto e visionario surrealismo.
Ma nell’ampia sala le apparizioni di Basilè non avvengono soltanto tramite il mezzo fotografico, anche il video e -per la prima volta- la scultura, raccontano del suo immaginario polimorfo, a tratti mostruoso ma pur sempre sor
È un immaginario che rivela un mondo fittizio -ma non troppo- di personaggi teatralmente irreali ed allo stesso tempo incredibilmente vivi, in posa ieratica come figure sacrali, davanti a luoghi sontuosi, chiese in rovina o splendidi palazzi nobiliari, ambientazioni che per la prima volta vengono inserite a fare da cornice all’apparizione surreale. L’ambiguità diviene metafora simbolica che coinvolge ogni sorta di tipologia umana all’interno di una rinnovata spiritualità contemporanea dal piglio laico, che, seppur mantenga i contatti con la tradizione dal punto di vista iconografico, non ha più codici prefissati né riferimenti.
Corpi decadenti e disturbanti, figure dal non chiaro orientamento sessuale e fiere della loro diversità, papesse in dolce attesa (Noah is not here), transessuali (Apparition), nani circensi protagonisti di Pietà michelangiolesche (The saints are coming) o l’amico Franko B col corpo martirizzato da tatuaggi che urla brutalmente contro il cielo davanti all’efebico ed esanime fidanzato (LovemeB), che diviene simbolo di una condizione archetipica universale.
Il deforme seduce e la deviazione intriga nell’universo della finzione transgender di Basilè, dove la diversità è regola autorevole che non si discute. Dove l’individuo deviato si erge impavido a dichiarare la sua condizione d’imperfezione e con la postura di una statua classica racconta le ferite della carne e il dramma di un corpo alterato. Poiché una linea veramente sottile separa il santo dal folle, la bellezza estrema dalla deformazione. E nell’opera di Basilè si fa invisibile.
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francesca baboni
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ma le zebre le ha prese in prestito da Paola Pivi?
obbediamo!
Veramente è dai primi anni 90 e non dalla fine e tutti quelli che fanno le stesse sue cose e si sentono creativissimi e incompresi lavorino.
non cominciare a criticare marco! sentito angelo? devi star zitto e lavorare! invidioso, aggiungo io (che va tanto di moda su exibart)
???? Non capisco né la natura né il luogo di questo scambio composto per lo più da frasi mozzate e ghigni sarcastici... Ma un forum di discussione non dovrebbe essere uno spazio dove ci si scambiano idee ed opinioni riguardo ad un soggetto che ci incuriosisce ci affascina o ci disgusta? Se una persona si prende la briga di leggersi un pezzo critico che si pronuncia sull'estetica, il linguaggio, la posizione, e le idee di un artista che espone in un luogo pubblico ci si aspetta a rigor di logica che tale persona sia in grado di comunicare un sentimento, una riflessione o per lo meno un'impressione sull'artista, il linguaggio, il mezzo espressivo, i soggetti, l'allestimento , il percorso, il colore del pavimento ... in breve ci aspetta un punto di vista con il quale confrontarsi, , uno spunto per scambiare in rete una posizione che sia, culturale, politica, estetica, morale o altro... credo che tutte le forme artistiche e con loro gli spazi dedicati alla loro elaborazione servano a stimolare ed alimentare la curiosità e l'intelletto di chi decide di parteciparvi e e non a generare questi sterili battibecchi da parvenus amatoriali la cui capacità critica ed analitica da primati non si spinge oltre la claudicante associazione formale che farebbe di Basilé un allievo della Pivi… In quest'ottica l’artista non avrebbe neanche il diritto di scegliere di reintepretare una Pietà dopo Mantegna, il nudo di una donna dopo Velasquez o un paesaggio dopo Turner… In quest’ottica Viola non è che un’ossessivo dell’immagine rituale, , i lavori simbiotici di Braques e Picasso andrebbero depennati insieme a quelli di Duchamps, Warhol e il resto di coloro che si ispirano alla realtà circostante. Personalmente non mi interessa che l’artista in questione sia amato o odiato, ciò che mi interessa è trovare uno spazio per discutere, conoscere e crescere, sono stufa di leggere le frasi vuote di gente che fa uso di luoghi comuni per esporre pubblicamente le proprie depressioni. Ma perché non vi pagate uno psicanalista invece di ammorbarci con le vostre banalità da sfigati!! E se vi riesce cosi difficile generare un pensiero autoctono provate a leggere qualche passo di Proust, Benjamin o Bourriaud magari un’idea, fosse una, si farà strada ….