Intorno alla frase di Sigmund Freud Sali sulle montagne, ti dico, e mangia fragole, scritta in una delle lettere giovanili del 1873 a Eduard Silberstein, prende vita la mostra curata da Eva Maria Stadler e Thomas Trummer in occasione del centocinquantesimo anniversario della sua nascita.
La montagna, spogliata di ogni accezione romantica ed eroica, diviene luogo di isolamento in cui è possibile prendere coscienza di sé allontanandosi dalla realtà cittadina e dalla sua artificiosità. È un isolamento che tuttavia non implica la rinuncia al piacere, anche erotico, simboleggiato dalle fragole. Secondo Freud però, attraverso l’allontanamento dalle costrizioni nasce la possibilità di portare ciò che è nell’inconscio in superficie, al livello preconscio. E proprio l’arte ha in sé la capacità di sublimare ciò che nell’artista è più profondo, portarlo alla luce e renderlo comprensibile allo spettatore.
L’analisi psicoanalitica dell’arte e lo studio della psicologia dell’artista portati a termine da Freud, emergono in modo più o meno latente in alcune opere in mostra. Vere e proprie icone dell’esposizione e del binomio montagne-fragole sono le opere di Hans Schabus (Watschig, 1960), di Lois & Franziska Weinberger (Tirolo, 1947 / 1953). Schabus nella sua Sulle montagne e le fragole ricostruisce pazientemente con un modello di cartone la fotografia di una vetta. La montagna viene privata di ogni fascino per essere scannerizzata e ridotta ad una serie di piani e di angoli combinati tra loro: l’elemento naturale viene sacrificato a quello puramente geometrico e architettonico.
Per trovare le fragole bisogna invece affidarsi all’opera delle Weinberger Sacchetto di plastica “fragole”, dove i frutti vengono trasformati in elemento decorativo artificiale. Il sacchetto si carica in chiave freudiana di significati suggestivi, quasi a voler
La società cittadina è invece luogo di nevrosi. Justine Kurland (New York, 1969), attraverso le proprie fotografie Black Bear Ranch e Alpha Farm, presenta alcuni esempi di comunità alternative, apparentemente isolate dal mondo cittadino e legate in modo indissolubile con la terra: un mondo “isolato” che alle isterie moderne risponde con la semplicità e la frugalità.
Ma la società moderna non è solo luogo di frustrazione e costrizione, ma custodisce anche le più ataviche credenze e ossessioni. Cameron Jamie (Los Angeles 1969) compie un viaggio nel lato oscuro dell’anima documentando nella serie Michigan Spookhouse come la sub-cultura moderna esorcizzi le paure più radicate e come al suo interno sopravvivano gli antichi rituali.
Le opere in mostra sono diverse per stile e genere e spesso il loro “contenuto prettamente freudiano” è più apparente che reale. A legarle in un vincolo più stretto è piuttosto lo studio del rapporto tra cultura e natura, e il ruolo che questo rapporto assume nella creazione artistica. Come sottolineano gli stessi curatori “gli artisti di questa mostra concepiscono la natura come fattore culturale e sociale. Con ciò intendono la forza immaginaria che essa è in grado di suscitare come un piano di proiezione di grandi racconti”.
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