Philip Taaffe (New Jersey, 1955) nell’inverno del 1989 visita il Festival della Musica di Madras. Ammaliato dai suoni risonanti vaga per la città in un ritmo molto lento, vivendo in un tempo inaspettatamente espanso. È, infatti, rallentato dall’incontro, continuo e ossessivo, con composizioni collocate all’ingresso delle abitazioni. Si tratta, mi spiega con gli occhi di chi dall’India non è mai realmente ritornato, di forme create all’alba sulla soglia della porta principale della casa, dalle donne con polvere di farina di riso.
Si chiamano Mandala Rangavalli e hanno funzioni magiche, di protezione verso qualsiasi demone. Quali demoni? Quelli incarnati alle formiche, che accettano l’offerta, e si placano mangiando la farina. Questi mandala nascono e muoiono continuamente: vengono cancellati e ricomposti ogni giorno, quasi a confondere gli spiriti e impedire loro di riconoscere le abitazioni, di divenire familiari.
In piccole botteghe locali Taaffe ritrova schemi di queste composizioni, questa volta in preziosi libretti fatti a mano, cui le donne fanno riferimento per le loro sculture temporanee. Taaffe costruisce così un archivio da cui attingerà continuamente, muovendosi tra Bangalore, Calcutta, Bombay per la sua collezione di “melodie folk”, idealmente accompagnate da Béla Viktor János Bartók, tra i più grandi conoscitori e studiosi di musica folk. Alan Jones, in profonda sintonia con Taaffe, ci spinge a confondere i mandala con i dipinti dell’americano: ‹‹Le opere di Taaffe tracciano la storia della tribù che conserva il proprio ancestrale piano urbanistico sotto forma di una danza, in modo che quando trasferisce la propria città in una nuova località, in un solo giorno, dall’alba al tramonto, una coreografia collettiva possa disporre al posto giusto ogni piazza, viale e strada laterale ricordata››.
In mostra sono presenti, ben distinte, due sezioni: le opere del 1989 che raccontano della cattura di queste composizioni e le rivisitazioni contemporanee delle opere, realizzate con collage e nuove luci e cromie, in una sorta di concentrazione estatica dell’autore (ed ecco perché il titolo “Rangavalli 1989/2014”).
Le prime sono state realizzate durante un soggiorno a Napoli proiettando il disegno originale, contenuto in questi libri raccolti, su una superficie, riproducendolo con la matita e poi ricollocando la pittura su carta. Quest’operazione avviene tramite l’impressione su un pannello in vetro, dove Taaffee dispone il colore a ricalcare la forma sottostante. Colore steso direttamente dal tubetto, con una manualità non dissimile dallo stendere la farina di riso delle donne indiane. Molti lavori sono quindi frutto di impressioni multiple in cui la linea assume minore spessore con il succedersi dei trasferimenti. Le opere del 2014 sono realizzate tramite la tecnica del collage con scarti notevoli nel trattamento delle varie superfici e l’aggiunta di luci caleidoscopiche, più simili alle opere del decennio 2000-2010. Opere che derivano da un’estensione dell’immagine nel tempo piuttosto che nello spazio. Ciò che dona equilibrio alla mostra è proprio la piacevole schizofrenia di percezione tra un livello microscopico, con l’organismo cellulare e il movimento degli elettroni, e un livello universale, in cui i pianeti e gli anelli spadroneggiano. D’altronde, giungiamo sul campo quando la battaglia è finita, nessun ferito, solo un vortice immenso di traiettorie riprese dall’alto.
La mostra è impreziosita da un catalogo con un saggio critico di Peter Lamborn Wilson e un testo del poeta Jack Hirschman, tradotto da Francesco Clemente.
chiara ianeselli
mostra visitata il 29 maggio
Dal 29 maggio al 30 settembre 2014
Studio d’Arte Raffaelli
Palazzo Wolkenstein
Via Marchetti, 17, Trento
Orari: lunedì – venerdì 10.00/13.00 16.00/19.30
sabato 10.00/12.30 16.30/19.00