Per apprezzare la mostra di
Juan Carlos Ceci (Saragozza, 1967; vive a San Marino), costituita da tre nuovi cicli pittorici, è necessario partire dai suoi lavori precedenti, da alcuni almeno, e precisamente da quelli che fanno parte della serie
Animale domestico di due anni fa. Erano cani. Cani, però, senza pelo, con una pelle rosea, che solo a pensare di accarezzarla faceva venire i brividi. Questo non solo perché erano ritratti nella loro nudità, ma perché la pelle mostrava ferite ovunque, pustole, ecchimosi varie, come fossero reduci da un brutale combattimento.
Ora non ci sono più in primo piano gli animali, che si mostrano come in ritratti regali, e sullo sfondo accenni a paesaggi. Ora sono questi ultimi a essere al centro della pittura e della rappresentazione.
Malinconia per insufficienza di prove,
Permanenza sul ventoso e
A perdita d’occhio sono i cicli che raccolgono i quadri di grandi e piccolissime dimensioni.
Quando si parla di paesaggio, spesso si fa riferimento a concezioni iconografiche passate o presenti, oppure al paesaggio interiore, sconosciuto e misterioso, che ognuno possiede. Le visioni possibili sono tante, ma quelle di Ceci partono dal rovesciamento del paesaggio naturale. Dipinge il paesaggio come se si vedesse “sotto il pelo”, come per i cani dipinti in passato. Allora propone un paesaggio dove la nudità trova la sua origine e la sua espressione, non certo rassicurante né tanto meno accattivante.
È la messa in scena del rovescio, è il sottopelle delle cose. La natura è denudata, senza il velo della sovrastruttura, che ottunde la comprensione dei paesaggi. Chi vede questa pittura su tela e tavola si trova quindi spaesato, perché è un paesaggio che nasce da un disvelamento inaspettato. Come uno speleologo, che scende in profondità e da quel punto intravede, guardando in alto, un paesaggio nuovo, inconsueto, e lo riporta alla luce.
La montagna rosa (2008) offre, forse meglio degli altri dipinti, un paesaggio denudato, bruciato e lacerato, che ricorda una pelle che ha subito una violenta abrasione. È un paesaggio classico nella sua rappresentazione, montano e quindi roccioso, dove un albero s’aggrappa alla roccia con le radici. Ma tutto è solo un’apparente allusione a questa tipologia di paesaggio. La natura non è più natura; forse lo era, un tempo, ma ha perduto la sua naturalezza.
Qui, e negli altri quadri, la natura al massimo sopravvive e il paesaggio è quello che non vediamo. Ceci mostra l’altra parte. A questo punto si entra nella dimensione del fantastico e del misterioso. Tutti i paesaggi sono gettati in una dimensione o post-contemporanea o pre-istorica. Il soggetto paesaggistico è destrutturato dal concetto corrente e arriva de-naturato, invivibile per l’umanità. La natura è nello stesso tempo perduta e poi ritrovata. Ma non è più per noi.
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bel lavoro!
ti abbraccio...