Una linea temporale
è disegnata attraverso la città dai grandi capolavori dell’arte contemporanea
italiana. È un viaggio nel tempo per interrogarsi sul ruolo che la Galleria
Civica di Trento per vent’anni ha svolto sia sul tessuto cittadino che nel
sistema dell’arte.
La sede della nuova
Fondazione, rinata come Archivio del Futuro dall’idea di
“restauro” dell’artista
Massimo
Bartolini, è un luogo
ibrido di raccolta di documenti e opere che hanno fatto la storia e di quelle
che la faranno. All’ingresso, il manifesto della personale di
Castellani del 1999 è lì come un reperto di
un viaggio. Qui ha inizio il tragitto ventennale fino alla rinascita come
Fondazione Galleria Civica.
Bolle in pentola il
neon di
Mario Merz,
Che fare?, e
nella scenografia di Bartolini è un interrogativo lanciato verso il futuro.
Sguardo verso un passato arcaico invece quello di
Clemente: ritorna nello spazio della
Civica (dopo la personale di alcuni anni fa) il suo ovale in gesso, un
bestiario medievale dai colori sbiaditi, a imitare l’effetto del tempo. Una
volta ornava il soffitto del nightclub newyorchese Palladium
.Una riflessione
sulla pittura è intrapresa nel Museo Diocesano Tridentino. Dalla pittura del
gesto e del segno di
Emilio Vedova alla messa in discussione della sua bidimensionalità con
i tagli e i buchi di
Fontana e con l’
Achrome di
Piero Manzoni, griglia dal valore tattile che prende la
morbidezza dell’ovatta. Con uno splendido dittico, Castellani, mago della luce,
attraverso concavi e convessi infrange infine la superficie piana della tela.
Ancora la
religiosità della città del Concilio nella terza sede della mostra, il Castello
del Buonconsiglio. Al cospetto dei vescovi, rappresentati nella sala che da
loro prende il nome, è inscenata un’
Ennesima Cena. Ma con un unico invitato.
Ontani, narciso per eccellenza, si cala
infatti nei panni dei dodici apostoli. Come richiamo colto alla tradizione
iconografica di secoli di storia dell’arte, ogni santo esibisce il proprio
simbolo: la sega strumento del supplizio per San Simone, la lancia per San Tommaso
protettore degli architetti… Unica foto a essere rivolta verso l’interno è il
bacio fra due Ontani: Giuda e Cristo. All’estremo opposto, un confetto dorato
custodisce il segreto dell’enigma.
Arte e
spiritualità, ma non solo.
Frutta caduta di
Piero Gilardi è una serie di tappeti in
poliuretano espanso. Anticipando già nel ‘67 la rincorsa al più reale del
reale, rappresentato è il paradosso per cui alla realtà si giunge attraverso
l’artificio. E il risultato è puramente fittizio.
Un dialogo tra
design e metafisica è innescato nella quarta sede della retrospettiva, nel
foyer del Centro Santa Chiara, sotto la guida di
Enzo Mari. La fisicità delle sue
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Valutazioni, una
falce e martello scomposta in un puzzle di sculture in marmo di Carrara, cede
il posto alla metafisica con gli artisti alla ricerca della verità occulta.
Vettor
Pisani presenta
Concerto
invisibile di Gino de Dominicis, due pianoforti, uno sull’altro riempiti di mele. Tra
scomparsa e apparizione,
De Dominicis-Gilgamesh ridiscende gli inferi con il suo
Manifesto
Mortuario,
rincorrendo la via dell’immortalità.
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La Fondazione Civica di Trento ha inaugurato il 9 ottobre 2009 una grande mostra celebrativa della sua storia, coinvolgendo moltissimi artisti e uno spazio che, a rotazione, verrà dedicato alle personali di tre giovani artisti. La mostra parte dalla sede storica della Fondazione. Salta subito al naso un pungente odore di legno ,misto ad “odore di chiuso”. Da segnalare un libricino pensato da Francesco Vezzoli e che riunisce le più feroci critiche al suo lavoro. Poi, come nel più prevedibile copione della “mostra di arte contemporanea” la mostra si dipana per una serie di sedi sparse nella città. Il curatore Andrea Viliani parla espressamente di “piccola biennale” in una lettera che scrive ad Exibart per rispondere ad alcune polemiche. Risulta subito evidente che il programma ricco e pantagruelico, che si pregustava sulla carta, non trova un verifica credibile nella realtà. Il format itinerante poteva realmente essere innovato. Tutte le sedi hanno orari diversi (giustamente) ma una delle sedi risulta semplicemente chiusa, senza offrire spiegazioni. Questi disagi tecnici sono stati rilevati anche da Alfredo Sigolo su Exibart appunto. La Fondazione deve aver parlato con i vari addetti all sedi che ora hanno un atteggiamento di timore e reverenza che stimola una certa tenerezza. Sembra che esagerino nel volerti mettere a tuo agio, dichiarando sempre che non possono dare indicazioni sulle opere (esattamente come scritto sulla lettera di Andrea Viliani ad Exibart). Altra cosa curiosa è che tutti gli addetti hanno accenti marcatamente stranieri. Mi è stato detto: “non se puede dar indicazioni”.
Rispetto alla ricchezza e ai propositi del comunicato stampa, la consistenza delle opere e delle varie sedi risulta insufficiente. Forse si poteva fare una cosa più contenuta ma più intensa.