Akari: leggerezza e luce. In giapponese, ideogramma congiunto del sole e della luna. Con questo nome, l’artista nippo-americano Isamu Noguchi (1904-1988) scelse di chiamare la collezione di lampade in bambù e carta di riso che, dal 1952, progettò per la ditta giapponese Ozeki, rileggendo la tradizione estremo-orientale delle lanterne per prodotti a basso costo. “Sculture lunari” dal tale successo mondiale da far dimenticare l’identità del loro autore.
Nelle sale del Mart, la loro grazia evanescente e lieve viene esaltata dall’allestimento di Robert Wilson , cui si deve l’interpretazione raffinata e lirica dell’opera di un artista che sosteneva “Tutto è scultura. Qualsiasi materiale, qualsiasi concetto che si esprima liberamente nello spazio, io lo considero scultura”.
Così, dall’ombra azzurra e notturna della prima sala, gli oggetti-totem realizzati da Noguchi in trent’anni di collaborazione con la coreografa Marta Graham emergono come apparizioni, arcaici simboli tridimensionali in cui si fondono oriente e occidente, maschile e femminile, sensualità e misticismo. Una specie di “minimalismo dell’anima”, in cui il fulmine, la lira, il Minotauro, la luna, la stella -simboli cari, anche, a Calder ed a Mirò– superano contraddizioni estetiche e culturali per dissolverle in oggetti armoniosi e levigati, che del mito antico -Orfeo, Erodiade, Edipo, Giuditta- evocano la sacralità atemporale e cosmica.
Tappeti di balsa e parterres di vetro e ghiaia citano quell’arte del giardino con cui Noguchi rilesse l’antica tradizione giapponese e la fece conoscere in occidente, inventando quei “giardini di scultura” che, attraverso l’integrazione con gli elementi archetipi della terra e dell’acqua, esaltano la straordinaria qualità poetica di opere come Il passo (1958, rilettura delle tante orme orientali del Buddha), Mantra a
Allievo e ammiratore di Brancusi, da cui apprese l’arte della semplificazione formale, Noguchi creò, anche, teste-ritratto e rivoluzionari oggetti di design (come la Radio-tata del ’37 per Zenith o la Coffee Table del ’44 per Herman Miller) che hanno contribuito all’introduzione dell’arte nella vita quotidiana e nell’ambiente domestico, insieme al ricorso alle geometrie elementari ed ai materiali naturali che ritorna, oggi, nelle opere, ad esempio, di Silvestrin e di Kapoor, di Karim Rashid o di Kengo Kuma.
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Il suo sito giapponese
elena franzoia
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