La recente acquisizione della collezione Grassi da parte del Mart di Rovereto rientra nel progetto -portato avanti dal Comitato Scientifico ancora all’inizio degli anni Novanta e più marcatamente in seguito- di incrementare il proprio patrimonio artistico per dare corpo alla collezione permanente. A finanziare il museo e le sue attività programmate annualmente è la Provincia Autonoma di Trento e, visto il forte onere finanziario da sostenere, l’idea di rivolgersi al collezionismo privato, per altro molto praticata nelle altre realtà museali internazionali, è stata subito cavalcata con convinzione.
La risposta dei collezionisti non si è fatta attendere e sono entrate nelle sale del museo la collezione Panza di Biumo e la collezione Giovanardi. Ora è la volta di una parte della grande collezione privata di arte contemporanea di Alessandro Grassi, e precisamente quella della Transavanguardia. Con questo deposito delle opere di Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Mimmo Paladino e Nicola De Maria, la collezione permanente del museo colma quindi una lacuna nella sua raccolta di arte italiana.
La selezione delle opere nella mostra, a cura di Nicoletta Boschiero e Laura Cherubini, ha puntato l’attenzione sulla parte più storica della Transavanguardia, quella legata alla sue origini degli anni Settanta e Ottanta. Nell’esposizione sono però presenti anche lavori degli anni Novanta, come testimonianza della coerenza di un collezionista che è andata al di là della moda e dello stretto interesse economico e che ha seguito, anche quando la stagione della Transavanguardia aveva esaurito la sua carica creativa, il percorso artistico di gran parte degli artisti.
Della Transavanguardia Achille Bonito Oliva a suo tempo ha tracciato e lanciato tutti i presupposti, sia teorici che poetici, parlando sempre di un “ritrovato piacere di una manualità non separata dall’impulso concettuale”. “La manualità” – scriveva – “significa capacità di fissare il lavoro dell’arte nelle adiacenze di una soggettività che utilizza tutti gli strumenti espressivi e tutti i linguaggi possibili”.
Ecco, nelle opere della Collezione Grassi in mostra è evidente la forza di questa “nuova espressività”, che non aveva alcuna direzione preclusa nel suo fare pittorico e che risiedeva negli “elementi strutturali che la caratterizzano: la mutevolezza, la provvisorietà, la contraddizione e l’amore per il particolare”.
Opere, ormai storiche, come Bar Tintoretto (1981) e Figura con teschio (1980) di Sandro Chia, Eroe del mare Adriatico centrale (1977-1980) di Enzo Cucchi, Semi (1978) di Francesco Clemente, Cinéma (1978) di Nicola De Maria e Quadro selvatico (1980) di Mimmo Paladino, testimoniano largamente tutto questo e il valore di questa straordinaria collezione.
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finalmente un museo che entra nel vivo della questione... la partecipazione delle collezioni private di arte contemporanea nelle istituzioni .adesso bisognerebbe far girare queste belle mostre ....
LA TRANSAVANGUARDIA LA TRANSAVANGUARDIA..........MA LA TRANSAVANGUARDIA ...........CHI RIGUARDIA?
Non c'è niente da fare questa transavanguardia di Bonito Oliva ce la propinano in tutte le salse( a mio avviso CHIA,CLEMENTE, PALADINO, DEMARIA E CUCCHI sono uno diverso dall'altro, basti pensare alle macroscopiche differenze di stile che vi sono tra Clemente,Cucchi e Paladino con Chia e De Maria ).
Auspico l'interesse del MART per altri artisti italiani del secolo scorso ed attuale, storicizzati a livello internazionale ,purtroppo non ancora presenti in collezione.
A mio avviso, poi, ritengo che Clemente, sia un artista che ha fatto un pò il battitore libero anche se inserito in origine nell'elenco di Bonito Oliva.
Clemente è l'unico che risulta presente nella stragrande maggioranza dei musei più importanti del mondo.
Appare con evidenza, quindi , che solo Clemente, per l'accortezza di essere andato a vivere a NEW YORK , ha davvero sfondato con il sostegno di gallerie molto potenti come Gagosian di New York.
Interessante al riguardo l'intervista di Carmine Siniscalco a Barbara Castelli, direttrice della galleria Leo Casstelli di NEW YORK, riportata sul periodico ARTE di giugno-luglio scorso.