La formula di
from_&_to è letterale, quanto mai semplice e pregnante: i cinque migliori artisti locali, provenienti dalla Regione che ospiterà la prossima edizione della biennale
Manifesta, hanno dovuto scegliere un partner internazionale da invitare in mostra.
Uscire, confrontarsi con l’esterno, ma anche portare il fuori nel proprio luogo di nascita. Perché le “primizie” del Trentino Alto Adige lavorano spesso all’estero:
Philip Messner sta a Monaco,
Stefano Cagol lo vediamo a Bruxelles come a Tokyo,
Michael Fliri -da buon altoatesino- preferisce l’area tedesca, mentre
Brigitte Niedermair lavora a Milano. E infine c’è
Laurina Paperina. Cagol ha invitato gli impegnati
Stealth di Rotterdam, Fliri ha optato per il cambio generazionale chiamando
Paul Kos, Laurina Paperina ha cercato di lottare ad armi pari con l’altrettanto fumettista ma incomparabilmente arrabbiato
Anton Kannemeyer, la fotografa Niedermaer ha voluto con sé la pittrice
Marit Victoria Wulff Andreassen. L’interazione fra Messner e il suo partner è stata tanto stretta (e ossessiva, probabilmente) da rompersi prima della mostra, così del rapporto con l’inglese
Matthew Smith è rimasta solo la corrispondenza, affissa alle pareti.
Direttamente sulle pareti è stato eseguito anche il dipinto in bianco e nero della norvegese invitata da Niedermair
-che ha invece presentato nature morte con dildo tecnicamente perfette ma concettualmente deboli- nel quale la natura si fonde con l’umano e una bimba viene risucchiata o abbracciata e protetta dai tronchi di una foresta. Altra grande opera a parete è quella del sudafricano Kannemeyer. Una mano bianca si rivolge ai suoi sottoposti in maniera assolutamente dispregiativa e imperativa. Gli “inferiori” sono neri mutilati, disegnati secondo lo stereotipo della pelle scura e della grande bocca chiara, e il padrone richiede loro con sprezzo di piegarsi al quotidiano rapporto orale.
A togliere il fiato in altro modo sono i lavori di Cagol e Stealth. Il gruppo olandese ha segnato sul pavimento le tracce delle precedenti mostre con nastri adesivi di vario colore. Come se tutte le opere entrate nello spazio espositivo facessero riaffiorare il loro perimetro, come se avessero lasciato un’impronta indelebile. Un enorme lavoro di
archeologia della recente storia di questo museo, aperto nel 2002, per mostrare come lo sviluppo spaziale possa far capire meglio l’arte, e il presente. L’intervento di Cagol è estremamente articolato, per penetrare i meccanismi di controllo e uscire dal museo. L’installazione lungo la turistica e centralissima via Portici è composta da una lunga serie di bandiere che scandiscono la strada con singole lettere bianche su campo rosso, a identificare coppie di parole tra loro contrastanti come
ass ed
ego,
zoo e
rat,
flu e
lab. Parole di tre lettere, come sigle di fabbriche di potere del nostro tempo. Non passa inosservato il suo
Uncle Sam, tra il monumentale e l’ironico, che sembra chiamare a una guerra ridicola, proprio come hanno fatto la banda e le majorette che hanno marciato sotto le bandiere il giorno dell’opening. Provocatoriamente, il brano scelto per chiudere la marcia è
Star Wars.
Conciso e incisivo è infine l’anziano del gruppo, Paul Kos, che sospende una vecchia sega da legno e ne fa penetrare i denti da una lama di luce.