Fare arte in gruppo oggi va inteso non solo come un superamento dell’importanza dell’autore nel processo creativo, ma soprattutto come sinergia espressiva e come esperienza catartica collettiva in cui viene coinvolto anche il pubblico. Le molteplici caratteristiche di questa specifica modalità sono messe in evidenza dalla mostra Group Therapy che la curatrice Letizia Ragaglia ha realizzato per Museion, coinvolgendo nel progetto espositivo anche la città, come più volte è riuscita a fare.
Gli abitanti di Bolzano sono chiamati ad interagire con l’installazione di Clegg & Guttmann, una biblioteca in miniatura all’aperto, posizionata in un parco del centro e completa in ogni sua funzione: il prestito, l’interscambio, lo spazio per la lettura e per gli incontri pubblici. In legno e vetro, la struttura ha ripiani per i libri che i cittadini stessi sono invitati a portare e concedere alla libera fruizione. Di fronte ci sono posti a sedere a formare un circolo e all’apice un pulpito, luogo in cui il giorno dell’inaugurazione i rappresentanti della comunità hanno letto alcune novelle nelle tre lingue del territorio (italiano, tedesco e ladino).
Al contrario, il gruppo di architetti A12 mette in crisi i meccanismi di interazione sociale attraverso il disorientamento creato dall’ambiguità del doppio. Lo spazio da loro creato è una stanza quadrata rivestita da una carta da parati con un motivo specchiato in bianco e nero. Al centro un tavolo quadrato scuro, tanto grande da riempire quasi interamente lo spazio, rende impossibile la comunicazione tra un lato e l’altro. Una seconda stanza, esattamente uguale, si ripete, come in un’immagine riflessa, alle spalle della prima. A sancire questo doppio inaspettato, sul tavolo c’è un libro fatto di immagini che si ripetono e di testi bilingue secondo la cultura del luogo, composta dalle influenze tedesca e italiana.
Tra chi favorisce e chi mette in discussione l’interscambio c’è anche chi ne teorizza i meccanismi: sono le coppie Claire Fontane e Allora & Calzadilla, e la Bernadette Corporation. I primi lo fanno sovrapponendo alla Marilyn di Warhol la scritta We are all ready-made artists. Gli ultimi, in un breve testo applicato alla parete del corridoio centrale, elencano invece i passi per creare una corporazione artistica che funzioni sul mercato, sottolineando con ironia gli aspetti del processo produttivo presi in esame dai primi.
Più ampio è il punto di vista di Allora & Calzadilla evocato dal video Sweat Glands Sweat lands, che per parlare di problemi sociali fa riferimento alla situazione del Centro America attraverso l’immagine di una notte polverosa e sudata, vissuta fumando all’interno di un’auto scassata ferma di fronte a tre vecchie sedie vuote. Le ruote dell’automobile, invece di spostare il mezzo, fanno girare uno spiedo con infilzato un maiale. Una voce elenca simbolicamente i dettagli della vita comunitaria di insetti e animali, in un canto portoricano raggaeton continuo, senza cambi di ritmo, ipnotico.
Sia Gelitin che Elmgreen & Dragset utilizzano un elemento emblematico, che ricorre nella loro ricerca. Questi ultimi hanno distribuito disordinatamente in una sala del museo, come fossero caduti dal bilico di un camion, i loro cubi bianchi con la scritta Museum of Contemporary Art. L’intento è quello di mettere in evidenza l’incapacità di dialogare con la città di molti musei.
I Gelitin invece hanno portato anche qui il loro ormai famoso coniglio rosa. Dentro una sala operatoria aperta, che attira e ripugna al tempo stesso come una stanza degli orrori, pezzi di peluches e gambe mozzate di bambole pendono ovunque. Protesi di una folle chirurgia estetica che riflette la follia dei tempi che viviamo.
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