Rara avis,
Mirta Carroli (Brisighella, Ravenna, 1949; vive a Bologna), tra le poche artiste della scena contemporanea che affidano allo spazio sculture di grandi dimensioni, innalza le sue creature al cielo, librandole fra le mura del castello. Sopra gli abissi del tempo e della memoria storica, fulminee e incisive, possenti e agili, le sue creazioni plastiche in acciaio e ferro tingono l’atmosfera di nero, ruggine e rosso.
Imponenza, bellezza e severità del castello conquistano con il loro potere ammaliante l’artista, che, catturata dal luogo, immagina un’invasione in atto: la roccaforte è sotto assedio, nei suoi spazi esterni infuoca l’impeto concitato di armi e macchine da guerra, mentre all’interno ferve l’operosità attenta e industriosa di chi deve resistere. La visita alla mostra diventa, in compagnia dell’autrice, un salto in un Medioevo reinventato, che fa piombare nel bel mezzo di un attacco armato.
Nel torrione d’accesso un occhio in ferro,
Araldica, mette a fuoco figure tribali e armi da taglio, falcetti e lame, tutti elementi rossi e ruggine, pronti per dar assalto alle mura. Nell’avanzata s’incontra una sentinella-totem con il suo scudo rosso, sui camminamenti guerrieri o vedette affiancati a testuggini munite di alabarde e lance, ineluttabilmente rosse, come le insegne e le bandiere che sulle mura divengono elementi di richiamo, mentre sulle alture, in una sorta di bivacco, le armi giacciono ammassate. In tregua.
Un carro in ferro e legno, una fantasiosa macchina da guerra con arco e dardo, piantona l’ingresso e richiama nel vortice della sua circolarità il moto in potenza, pronto ad animarsi di poesia già a partire dal titolo,
Nell’eco del vento, mentre una gigantesca e verde
Cresta del gallo dispensa energia da incamerare per far fronte all’aggressione.
A unire gli spazi esterni con l’interno, due custodi enigmatici e lirici: il
Canto del cuculo e il
Canto dell’usignolo. L’archetipo è rivisitato all’infinito nel suo concretizzarsi in metalliche sculture, come nelle figurazioni-metafore legate alla terra, l’erpice che apre le zolle o la grande ruota da trattore che funge da elemento d’una macina.
Ancora segni del comando e scudi e simboli guerrieri si trovano nella Sala d’armi, insieme ai disegni incorniciati di nero, posti sulla poderosa colonna ottagonale e, infine, al sicuro, all’interno delle mura inespugnate, quattro video riproducono immagini della fucina creativa di Mirta Carroli, all’opera nelle diverse fasi di attuazione e nelle differenti declinazioni del suo linguaggio poetico.
Se nella scultura monumentale l’artista si relaziona con l’habitat circostante, trasformandolo, nel piccolo formato modula “
la persistenza del segno” in preziosi monili, che concepisce chiudendo – con oro e argento, come in scudi in miniatura o emblemi araldici – frammenti di arcaiche ceramiche e pietre dure.
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