Fu un decennio carico di novità e sperimentazioni quello tra il ’50 e il ’60, periodo in cui nacque e si affermò l’Optical art. Il grandioso sviluppo in campo tecnologico sembrò riflettersi, infatti, anche nell’arte. E questo nuovo tipo di ricerca, strettamente connessa ai cambiamenti apportati dalla tecnologia in vari settori della società, provocò, oltre alla svalutazione dell’artista singolo e alla modificazione del senso tradizionale dell’arte, anche la creazione di opere in serie.
Questo periodo fu caratterizzato, non a caso, dall’esplosione dei gruppi a discapito della centralità dell’artista isolato: si ricordino, per citarne alcuni, il Gruppo N a Padova, il Gruppo T a Milano e il GRAV di Parigi. Inoltre il fenomeno percettivo assunse un ruolo fondamentale nella fruizione dell’opera: l’oggetto d’arte comincia ad esistere con l’immagine che si forma nel soggetto che riceve gli stimoli visivi.
Le opere in mostra a Cavalese, una trentina in tutto, ricostruiscono, in un percorso eterogeneo ed originale, un quadro esaustivo delle ricerche ottico-cinetiche condotte in vari paesi a partire dagli anni Sessanta. Il filo conduttore che lega le singole opere è, si diceva, il rapporto tra l’operazione artistica e il mondo della tecnologia. Inoltre lo spettatore è coinvolto in una totale e completa interazione: il fruitore è chiamato in un certo modo a “completare” l’opera d’arte, assumendo un ruolo attivo. Fondamentale è in questo senso anche l’aspetto dinamico, il movimento -reale o virtuale- intrinseco all’opera stessa, come nel lavoro di Gabriele De Vecchi in cui un semplice meccanismo a motore agisce su alcuni dischi di legno creando un movimento ondulatorio che apre spiragli su una superficie ricoperta di spilli.
Altra opera emblematica è Strutturazione pulsante creata nel 1959 da Gianni Colombo in cui alcuni cubetti bianchi in polistirolo si muovono azionate da un piccolo motorino elettrico nascosto.
Basata sul gioco di diffrazione della luce è Polariscop di Bruno Munari, in cui le onde luminose sono catturate da una lente polarizzata.
Un’intera sala, infine, è stata dedicata all’installazione luminosa Grande tuffo nell’arcobaleno del padovano Alberto Biasi, esponente alla fine degli anni cinquanta del gruppo N, nella quale alcuni prismi di cristallo riflettono i sette colori dell’iride su pareti a specchio.
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