Curata da Mateo Kries e da Alexander von Vegesack per il Vitra Design Museum di Weil am Rhein, la mostra Vivere sotto la luna crescente si pone come obiettivo di far conoscere più da vicino l’architettura, il design e soprattutto la vita domestica del mondo arabo. Un’area che abbraccia il Marocco, la Penisola Araba, l’Egitto, la Siria, la Tunisia, l’Algeria, la Mauritania, il Libano e lo Yemen.
Il percorso espositivo è suddiviso in quattro parti, che approfondiscono altrettanti temi: la cultura domestica dei nomadi, lo stile di vita delle popolazioni rurali stanziali, quello nelle più tradizionali città arabe e l’influenza del modernismo occidentale nella metà del XIX secolo. Anche se diversi oggetti esposti non possono essere attribuiti chiaramente ad una specifica area, questo sistema dà la possibilità di offrire una visione differenziata delle correlazioni tra i diversi modi di vivere, gli stili abitativi e gli oggetti di uso quotidiano.
Grazie ad un allestimento particolarmente efficace, entrando nelle sale ci si trova immersi in un mondo ricco di fascino e di mistero, che non manca di suscitare curiosità e -come tutti i mondi sconosciuti- anche un po’ di timore. La prima cosa che attira l’attenzione è una tenda ricostruita a grandezza naturale che permette di curiosare nella vita delle popolazioni nomadi.
Strutturata su pali centrali più alti rispetto a quelli laterali, la tenda ha come copertura un rettangolo di strisce di stoffa di lana di capra, cucite tra loro, mentre i tappeti costituiscono un rudimentale e suggestivo pavimento. All’interno, utensili e tessuti vari trasmettono il senso della quotidianità.
Una serie di installazioni su grande scala, di fotografie e di video, il tutto avvolto da una tipica musica arabeggiante, permettono al visitatore di avvicinarsi alla sfera domestica del mondo arabo, permettendogli di paragonarla con quella occidentale e di confrontare i due diversi stili di vita.
In seguito il visitatore viene condotto in una sorta di viaggio immaginario attraverso le tende dei Tuareg e dei Beduini, passando per le casbahs marocchine, le case interamente costruite di canne dello Yemen, quelle a cupola della Siria -da segnalare una foto, esposta nella mostra, del suggestivo villaggio di Jaboul, a nord di Aleppo, uno degli ultimi villaggi tradizionali rimasti intatti- e le splendide abitazioni di città come Marrakesh, Fez e Damasco. Fino ad arrivare alle abitazioni più moderne disegnate da famosi architetti quali Hassen Fathy, Pierre Khoury ed Elie Mouyal.
La caratteristica che li accomuna questi è quella, importante, di aver saputo combinare con successo gli elementi tradizionali con quelli moderni, senza perdere l’identità e il fascino tipici del mondo arabo. L’egiziano Fathy, in particolare, progettò nel 1946 l’opera per la quale a tuttoggi viene ricordato: la ricostruzione di 7.000 abitazioni del villaggio di Gourna. Utilizzando materiali e manodopera locali, Fathy enfatizzò la necessità di ricercare, nella costruzione degli edifici, uno stile che fosse strettamente collegato all’identità nazionale, in contrasto con quello delle colonie.
L’esposizione al Mart offre quindi non solo l’occasione di conoscere una civiltà che è sempre più vicina alla nostra, ma invita anche a riflettere sull’importanza del dialogo tra le diverse culture.
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