Non è cosa di tutti i giorni vedere in una galleria d’arte un così ampio numero di opere di Carlo Belli (1903-1991). Sono lavori di piccolo formato, ma certamente significativi per il lasso temporale che ricoprono, dagli anni Venti agli anni Ottanta, dunque testimoni della pressoché totale attività artistica del grande teorico dell’astrattismo; un aspetto certo non marginale se si pensa che la scoperta del Belli-pittore è cosa abbastanza recente, solo del 1979, quando tenne a Roma la sua prima esposizione.
Il Mart di Rovereto nel 1988 ha acquisito, assieme a un lauto numero di opere, il fondo dell’illustre roveretano. Oltre 300 fascicoli che testimoniano la sua versatilità d’interessi e la dilatazione dei campi di ricerca culturale: dal giornalismo alla critica d’arte spesso
In contatto fin dai tempi scolastici con Fortunato Depero, Belli entrò presto nell’orbita Futurista, tanto da diventare amico dello stesso Martinetti. Ma al canto delle macchine preferì presto quello delle muse, influenzato probabilmente dalle ricerche sull’antico di Paolo Orsi e di Federico Halbherr. La tensione evocativa, il rimando a un qualcosa d’altro su cui Belli concentrò i propri tentativi pittorici, trovarono il loro naturale indirizzo nella Metafisica di De Chirico e Carrà; un’affinità che è testimoniata anche nello stesso Kn, il manifesto dell’Astrattismo italiano edito nel 1935 dai tipi della Galleria Il Milione di Milano, nel quale sono messe tra l’altro alla berlina pressoché tutte le avanguardie, dal Futurismo a Dada, al Surrealismo, all’Espressionismo. Le ricerche nel campo dell’Astrattismo, alle quali Belli è indissolubilmente legato, non risultano infatti in contrasto con quelle in seno alla Metafisica vista la comune tensione neoplatonica alla manifestazione delle cose e all’assenza di retorica. Così, accanto all’ammirazione per De Chirico, ecco quella per Kandinskij, Licini e il cugino Melotti.
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duccio dogheria
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