Come parlare di
regionalismo in termini critici? Come trascenderlo? Questo si chiede il curatore Adam Budak, focalizzandosi su Rovereto, città che ha dato i natali ad Antonio Rosmini, autore dei
Principi di scienza morale, e al
Fortunato Depero della
Ricostruzione futurista dell’universo. Il
principio è infatti l’argomento cardine della sua poetica espositiva, e la
speranza fattore determinante, emozione militante, impulso che dà l’avvio a un moto riflessivo.
Budak s’ispira al
principio speranza di Ernst Bloch per mostrare i desideri di una cinquantina di artisti che, attraverso lo studio delle politiche di narrazione comune, mostrano un orizzonte di possibilità. Speranza come
docta spes, desiderio di sostenibilità. Suddiviso in due spazi -non a caso edifici storici recuperati per l’occasione-, quello multiforme dell’ex Manifattura Tabacchi e quello più lineare dell’ex fabbrica Peterlini, il percorso si snoda tra opere video e installazioni che cercano di sviscerare un pensiero comune, di porre una nota a una realtà in divenire, solo in parte cogliendo il punto.
Tasto dolente è un’eccessiva dispersione. Negli spazi articolati dell’ex Manifattura, non essendovi un percorso sistematico, si perdono le connessioni tra un’opera e l’altra, e la mostra perde di organicità. Una suddivisione per sezioni tematiche avrebbe forse reso i lavori più fruibili da parte del pubblico. Ma la qualità della scena europea è decisamente buona, e gran figura fanno -finalmente, si può dire- gli italiani, dal livello qualitativo decisamente alto.
Molto valida l’opera di
Alterazioni Video, che s’interroga sulle architetture siciliane rimaste incompiute con una decisa critica ai sistemi di potere;
Zimmerfrei crea una sintesi particolare della disunità politica e culturale, ispirandosi alle atmosfere della
Donna che visse che due volte di
Hitchcock;
Rä di Martino mette in scena, con una duplice visione, un attore che prova il proprio ruolo nel deserto come fosse un luogo immaginifico, con una giacca accanto a fargli da spalla.
Nico Vascellari e
Deborah Ligorio ragionano invece sull’identità di un paesaggio reale o immaginato, l’uno riproducendo un’ambientazione naturale con suoni orchestrati per sequenze apparentemente casuali, l’altra viaggiando nella memoria del Trentino, tracciando i caratteri di una scomparsa, rievocando il progetto di un lago artificiale, senza mai abbandonare la criticità verso le politiche ambientali.
Gli stranieri giocano sul contesto politico, come il giovane
Igor Eskinja, il cui tappeto di polvere manifesta una resistenza contro le narrative dominanti dell’apparato istituzionale, o
Christian Müller, che si veste da escursionista e attraversa i confini austriaci illegalmente per otto volte, sondando la loro funzione come barriera verso l’ex blocco sovietico. Curioso anche il lavoro di
Tim Etchells, che dialoga con un gelataio locale e un critico d’arte su come i linguaggi dell’arte possano creare nuovi gusti, mentre nella corte della Manifattura un carretto dà al visitatore la possibilità di assaggiare quegli stessi gusti creati dalla fantasia dell’artista.
Interessante anche alcuni interventi contestuali. In particolare, nell’ampio locale dell’ex Peterlini, si segnala il lavoro di
Johannes Vogl, che ha creato spioncini attraverso la parete per mostrare parti non ancora restaurate dell’edificio, un vero esempio site specific di riuso e rivalorizzazione del luogo. Il visitatore ha infatti la possibilità di vedere e apprezzare spazi non utilizzati, trasformando il
principio speranza, come scrive Budak, nella “
fantasia di una regione ancora da conoscere”.
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I lavori di Alterazioni Video e Ra di Martino sono vecchi, terribilmente vecchi!!
In una manifestazione come Manifesta dovrebbe essere OBBLIGATORIO presentare lavori inediti!
fantastici spazi, ma troppi lavori; risultato? tutto sembrava esser stato fatto da un solo artista (almeno a Rovereto).
una manifesta abbastanza piatta.
e con i soliti artistini italiani.
Vabbe' Mango, gli artistini autoctoni ci devono stare sennò chi paga il conto alla fine?