Ai Weiwei alla 55esima Biennale di Venezia

di - 2 Giugno 2013
Secondo qualcuno l’arte è sempre politica anche quando sembra parlare d’altro, personalmente non sono del tutto d’accordo ma, senza dubbio, ci sono degli artisti che hanno fatto della pratica artistica lo loro battaglia politica e questo è il caso del cinese Ai Wei Wei, una star del mondo dell’arte internazionale che nel 2011 in Cina è stato imprigionato per 81 giorni in una cella di isolamento dove era guardato a vista 24 ore al giorno da due guardie.
Per questa 55 edizione della Biennale di Venezia l’artista ha esposto due importanti lavori in due diversi luoghi della laguna: la famosa installazione Straight, presentata per la prima volta presso lo Hirshhorn Museum and Sculpture Garden a Washington DC, ora riproposta alla Giudecca nello Zuecca Project Space per la cura di Maurizio Bortolotti, e S.A.C.R.E.D, ora nella chiesa di Sant’Antonin a pochi passi dalla Riva degli Schiavoni.
Il terribile terremoto nello stato del Sichuan del 2008 è stato il punto di partenza per la realizzazione di questo poderoso lavoro che commemora la tragica morte di 5mila adolescenti e bambini rimasti schiacciati dai rovinosi crolli di scuole e asili costruiti con materiali scadenti. L’artista e i suoi collaboratori in una sorta di viaggio nel dolore hanno raccolto 150 tonnellate di ferri contenuti all’interno dei pilastri di cemento che avrebbero dovuto tenere in piedi gli edifici scolastici, che invece si sono accartocciati come foglie secche. Questi ferri distorti e piegati dalla furia delle scosse telluriche sono stati poi pazientemente raddrizzati (da qui il titolo del lavoro “Straight” cioè “dritto”) a mano con sapienti e precisi colpi di martello. Accatastati uno vicino all’altro come a formare un mare color ruggine i ferri sono i muti testimoni di un orrore che forse si sarebbe potuto evitare se quegli edifici fossero stati costruiti in maniera meno approssimativa. Un’opera meditativa, potente, silenziosa che induce al raccoglimento e alla preghiera, un bellissimo ed evocativo monumento al dolore e un’aperta denuncia al governo cinese.
Nel suggestivo spazio ricco di marmi policromi della chiesa dagli interni seicenteschi di Sant’Antonin l’artista ha collocato sei grandi scatole di ferro arrugginito che contengono altrettanti diorami estremamente realistici che raccontano i vari momenti dei suoi 81 giorni di detenzione. Il titolo S.A.C.R.E.D. è infatti l’acronimo di Supper, Accusers, Cleansers, Ritual,  Entrthropy, Doubt (cena, accusatori, pulizia, riti, entropia, dubbio) ovvero dei vari momenti che hanno scandito la prigionia di Ai Wei Wei. Le scatole hanno due piccole aperture rettangolari per guardare dentro, una su un lato e una sulla cima, si può quindi guardare la stessa scena da due differenti punti di vista dall’alto e di fronte. Tutto è ricostruito perfettamente e con grande realismo come se stessimo osservando i diorami di un qualche museo di scienze naturali che ci illustrano la vita e gli usi di una tribù scomparsa.
Tutto quello che l’artista non ha detto a parole sui suoi quattro mesi di carcere ce lo racconta ora con il realismo potente e disturbante di questo racconto tridimensionale che si lascia leggere come le pagine di un romanzo dove si snoda una tragedia purtroppo ancora attuale: la possibilità di privare un essere umano della sua dignità di uomo libero a causa delle sue idee. Chi pensa è pericoloso e chi osa denunciare il potere è da rinchiudere, ancora oggi in molta parte del mondo la libertà è un’utopia che forse solo la potenza visionaria dell’opera d’arte può riscattare.

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