Dario Ortiz pittore e disegnatore
Dario Ortiz Robledo è nato ad Ibagué 31 anni fa, ma può considerarsi quasi italiano d’adozione, per le sue frequentazioni del bel paese e per la sua vasta cultura specie nel campo dell’arte del nostro Rinascimento. Si sono fatti per lui i nomi dei più grandi artisti del ‘500 e del ‘600. Nell’impianto delle scene, nel disegno, nella scelta del colore, quando non addirittura nelle tematiche trattate, non è difficile scorgere nelle opere l’amore straordinario per l’epoca della regola aurea, la dedizione totale allo studio delle tecniche e della prassi classica. Tanto evidente ed eclatante è in Ortiz il riferimento tecnico alla tradizione da far perdere di vista un aspetto altrettanto macroscopico della sua arte, quello cioè di una riappropriazione degli schemi iconografici della Rinascenza, della dottrina della fisiognomica e dell’ordine sacro. Ma l’operazione di Ortiz sembra ben altro che una mera variazione citazionistica. Al centro del mondo dell’artista c’è l’uomo, Ortiz è infatti pittore di figure e di autoritratti; le sue scene sono popolate di persone che vengono ora dal mondo antico, ora da quello contemporaneo: convivono lo stesso spazio, ma la distanza degli uni dagli altri è segnata, più che dagli abiti, dal velo di malinconia che pervade i volti degli uomini d’oggi. Accade anche che in alcuni casi, e spesso tocca alle figure femminili, i personaggi moderni riescano a impersonare la fierezza e la sacralità classiche, in un sottile gioco di ambiguità, sempre condotto in modo estremamente lucido e solenne. In tutti i dipinti è evidente anche l’attenzione al fattore temporale, le azioni sono scandite da ritmi lenti, solenni, talvolta si ha l’impressione che il tempo si sia bloccato, o abbia invertito il suo corso.
E’ una visione pessimistica quella del pittore colombiano? Forse, ma si ha la sensazione che dietro la malinconia vi sia la speranza di un ritrovamento dell’uomo all’insegna dei valori sacri e affettivi e, contestualmente della riconquista del tempo come dimensione che permetta il riconoscimento di se stessi e la riflessione sulla vita. Non un semplice tributo all’antico quello di Ortiz dunque, ma piuttosto il richiamo ad un nuovo umanesimo, diremo un “richiamo all’ordine”, se ciò non implicasse precisi riferimenti storici. La strada di Ortiz è tracciata: se mai il suo uomo riuscirà ad uscire vincitore dal confronto con l’antico, se mai si svincolerà dal luogo metafisico nel quale si trova e tornerà nel mondo (come già fecero gli dei di Mitoraj), avremo forse l’”Uomo Nuovo di Ortiz”.
“Della trasparenza” e “Frutti del nuovo mondo”
Le altre due mostre di Abano sono il frutto di una selezione condotta sui maggiori esponenti dell’arte latinoamericana. “Della trasparenza” ha lo scopo di rappresentare le correnti più marcatamente espressive, tuttavia gli artisti presentati non sembrano in grado di scrollarsi di dosso la grande tradizione novecentesca e sperimentare nuovi percorsi. Per qualità meramente tecniche e compositive si segnalano perciò Cucalon, Carolina Nunez e Velasco. Il discorso si fa ancor più drastico nella sezione dedicata alla figurazione, dal titolo “Frutti del nuovo mondo, dove la maggior parte degli artisti non riesce ad andare al di là di un dozzinale richiamo al Surrealismo e ad un incerto iperrealismo.
Meglio allora le più genuine interpretazioni naifs, ma è certo che questa triplice mostra del centro termale padovano può dirsi riuscita solo a metà, e non rialzano la media né il frivolo e succinto cataloghino di queste due ultime mostre, né la zoppicante traduzione dei testi inglesi del catalogo di Ortiz che, quanto meno, si avvale di un buon apparato fotografico.
Alfredo Sigolo
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ciao, me piacherai molto havere tutta notizi del arte in Italia de tuta la citta , ion serei molto felicce si questo e possibile grazzie Hebe