Non una sequenza di opere isolate ma un progetto sullo spazio, piegato e deformato fino ad instaurare un nuovo equilibrio. Blair Thurman, artista newyorkese nato a Boston nel ‘66, fonda la sua ricerca su uno degli elementi più caratteristici dell’immaginario americano, le strade. Quelle percorse dai motociclisti di Easy Rider e quelle dei circuiti automobilistici americani delle Nascar e Formula Indy, quelle della vita on the road di Kerouak e The Mother Road, la Route 66 di Steinbeck, fino al mito di James Dean, prima protagonista di corse clandestine in Gioventù bruciata, poi drammaticamente vittima della sua Porche.
Le interminabili strisce d’asfalto che attraversano gli States sono più che un elemento ricorrente del paesaggio, piuttosto un simbolo pop americano come la Coca Cola o Marylin.
Per Blair Thurman la linea e la curva non sono elementi misteriosi e fantastici da sperimentare, alla ricerca di un’armonia estetica di indole romantica ma precisi frammenti del paesaggio decostruito, che l’occhio legge come rettilinei, curve e paraboliche. L’astrazione geometrica e minimale dell’artista non rinuncia mai a questa corrispondenza immaginifica ed anzi la esalta nella stratificazione e nell’accumulo, inserendo suggestioni infantili (i percorsi neri delle piste elettriche giocattolo), misurando lo spazio con binari paralleli convergenti in una prospettiva distorta, richiamando le insegne autostradali nell’utilizzo del neon.
Ai neri bituminosi di varie sfumature si alternano i colori acidi stesi su tele e pannelli dalle forme più inconsuete, appoggiate al muro e mai appese; gli stessi colori pop che si riscontrano nei neon, veri e propri circuiti che pendono dal soffitto o merletti decorativi che illuminano d’un azzurro notturno lo sfondo della galleria, o lettere
Prosciutto di Parma, è il titolo di un’opera interamente progettata a Verona e prodotta dalla galleria: Thurman ha costruito un grande pannello a raggiera sul quale è innestato un fitto tessuto muscolare di neon rosso e rosa.
Strano artista Thurman che, contrariamente all’idea stereotipata che abbiamo degli artisti americani, sembra lavorare in preda ad una frenesìa creativa che lo porta ad operare con una certa grossolanità: grossi fili elettrici in libertà, tagli imperfetti dei materiali, capi di fili di nylon sporgenti, ecc.
Per solito l’arte è cosa da vedersi con lentezza, da scoprire progressivamente; questa sembra una mostra da vedere invece a 100 all’ora e con la coda dell’occhio, come i cartelloni pubblicitari in strada. Però funziona: evviva il pop!
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