Che un carattere uniforme dell’Europa sia espresso soprattutto dall’edilizia pubblica e privata non è una novità. Del resto, non è un caso che siano proprio gli stili architettonici a effigiare le banconote della moneta unica. Ponti e resti romani, cattedrali barocche e quartieri medievali si richiamano di Paese in Paese, testimoniando comuni origini e influenze reciproche.
Claudio Gobbi (Ancona, 1971; vive a Parigi) sembra partire da quest’osservazione per allargarla e insistere su altre uniformità, più familiari anche se meno note, spostando l’obiettivo dalle grandi architetture agli interni di teatri, cinema e centri ricreativi di diverse città del nostro continente. Come in una sorta di storia materiale del tempo libero in Europa, Gobbi si concentra su dettagli costruttivi e arredi novecenteschi, dai quali è eliminata ogni estranea sovrapposizione, che potrebbe svelarne la contemporaneità. Rimangono soltanto analogie di forme e costruzione degli interni, accentuate da inquadrature costanti, a cogliere il persistere di un’elegante idea ricreativa che si è diffusa come stile, che ha superato due guerre mondiali e una guerra fredda, mantenendo la propria identità.
Si tratta di rimandi che sorprendono per le distanze, da San Pietroburgo a Barcellona, da Copenhagen a Milano. Sipari, spazi di servizio, porte, scalinate, lumi, tavoli da biliardo lontani centinaia o migliaia di chilometri ripropongono un consonante e omogeneo gusto borghese. Utilizzano gli stessi materiali, insistono spesso sui medesimi colori e abbinamenti, con una pressoché univoca disposizione degli spazi.
Gobbi inquadra i suoi soggetti sottolineandone geometrie e linee di forza, alternando visioni dinamiche, quasi sempre in verticale, che si perdono in linee di fuga oblique, a visioni centrali più statiche e monumentali. Lavora sui colori, caricandoli per far risaltare i singoli elementi dell’immagine. Il formato stretto e allungato delle fotografie ricorda certe vedute di
Canaletto, forse per la pretesa di descrivere immobilità altrettanto radicali quanto quella della città di Venezia, da secoli uguale a se stessa.
Indagando leggi che ne regolano il diffondersi e il sottrarsi al mutamento, Gobbi fa leva sui luoghi del tempo libero per aprire sullo scenario più ampio della cultura. Si tratta di frammenti di storia comune, e come tali ne possono descrivere soltanto una minuscola porzione. Ma hanno il merito di sollecitare un interrogativo sull’identità dell’Europa, che appare difficile da eludere e risolvere. Cos’è l’Europa? Domanda a cui neppure l’Unione che ne prende il nome è riuscita ancora a trovare una risposta univoca e condivisa, da essere scritta nero su bianco in una Costituzione.
Tanto che, anche alla luce dei triti stereotipi e delle grottesche provocazioni dell’opera di
David Cerny, che ha scandalosamente inaugurato la recente Presidenza ceca dell’Unione, viene da chiedersi fino a che punto, dopo aver fatto l’euro, si siano fatti l’Europa e gli europei.