Nell’anno appena concluso, che ha celebrato, talvolta anche con una certa magniloquenza, i cinque secoli dalla nascita di
Andrea Palladio, una mostra – in uno spazio che solo da qualche mese è adibito ad attività espositiva – testimonia invece con un ossimoro il potere leggero e la forza di suggestione concettuale dell’architettura e dei suoi materiali, quando si ricompongono con asciuttezza e talvolta con ironia.
Erased Palladio è il titolo della corposa personale di
Italo Zuffi (Imola, Bologna, 1969; vive a Milano), nell’affascinante cornice su tre livelli del Monotono. Lo spettatore è accolto nell’ampia volumetria della galleria da
Và via, quattro cavalletti di metallo che danno un senso di precarietà, quasi fossero rimasti dimenticati da qualche muratore dopo l’allestimento; nemmeno un’etichetta sul muro ne certifica lo status di opera: l’osservatore è costretto a fermarsi e cogliere il guanto di sfida.
Molto raffinate anche le strutture in legno (i cosiddetti
Profilati) che giacciono appoggiate alla parete e che ripropongono, in scala, le piante di alcune ville palladiane. Geometricamente intriganti e caratterizzate dalla simmetria assiale che contraddistingue le dimore del celebre architetto, ripropongono in forma concreta e tridimensionale il disegno dei perimetri murari. Ma Zuffi gioca, trasformando la
rappresentazione in oggetto d’arredamento – in libreria? Portaoggetti forse? -, talvolta accentuandone la componente ludica con l’uso della decorazione.
Seguono poi le mattonelle, collocate a parete, di differente foggia e dimensione, realizzate in ceramica: ripropongono alcune trame di tetti, ma anche pattern di strade, di rivestimento a bugnato di palazzi antichi. Sulla loro superficie, però, in forma di spregio, sono state attaccate gomme da masticare, da cui il titolo buffo
Manager a passeggio. Difficile invece capire la logica, se si evita quella banalmente edilizia, dei quattro
Portoncini in metallo su cui sono stati collocati alcuni
object trouvé, che spaziano dai gusci di noce al più classico calendario con donna in tacchi alti e seni al vento.
Il piano interrato è un condensato che contiene una base in scala reale di una colonna in pietra di Vicenza, con tanto di tori e pulvino. Sulla superficie superiore è stata collocata una cerniera che alimenta strani cortocircuiti: primo fra tutti, quello relativo alla propria utilità/inutilità, successivamente anche l’idea che la pietra si possa in un attimo aprire con una zip.
Le opere in mostra al piano rialzato godono invece di un’ambientazione particolarmente intrigante, poiché le stanze adibite all’esposizione sono quelle di una casa degli anni ‘60 svuotata dalla mobilia (il che ricorda molto alcuni spazi berlinesi). Si possono così vedere riproduzioni in marmo di mattoni, come
La replica, ma anche fotografie di luoghi in cui un tempo si ergevano architetture palladiane. Che hanno fatto la celebre fine del disegno di
de Kooning, passato a miglior vita sotto la gomma:
erased.