Hernan Bas (Miami, 1978) ha oggi maturato l’esperienza che gli ha consentito di esplorare non solo la tela di grandi dimensioni, uscendo dal modello di una figurazione intima e privata, ma addirittura altri media, per cercare di spingersi oltre il tipico dandismo gotico che gli è assegnato. Nel contempo, lo stile si è fatto più istintivo e gestuale, proiettato verso inedite forme di astrazione.
Reduce dall’importante mostra al Brooklyn Museum curata da Mark Coetzee, Bas arriva in Laguna circondato da molte luci e qualche ombra: proprio la mostra newyorkese infatti ha spinto Ken Johnson, sulle pagine del “New York Times”, a lanciarsi in un’autentica invettiva contro l’artista, giudicandolo poco originale e immaturo, criticandone la deriva verso dimensioni più ampie e altri media, infine sostenendo che il riconoscimento ottenuto dall’artista sarebbe nient’altro che una regalia fatta dal museo di Brooklyn ai potenti collezionisti di Miami Don e Mera Rubell, proprietari di una larga parte della produzione di Bas, in tempi di ristrettezza economica.
La mostra alla Galleria Il Capricorno dimostra che tali giudizi sono tutto sommato esagerati e ingenerosi. Bas è un buon artista e ottimo pittore con ampi margini di crescita, e non gli si può certo imputare la “colpa” di esser finito in una delle maggiori collezioni d’America, a fianco dei più grandi nomi del dopoguerra.
Semmai è la politica gestionale delle pubbliche collezioni americane che dovrebbe cominciare a considerare le falle di un sistema ormai secolare su cui ha costruito una leadership culturale mondiale,
ma che è anche responsabile di distorsioni, come la scalata portata dal megacollector Eli Broad ai danni dei musei di Los Angeles (Lacma e Moca).
Quanto poi al supposto anacronismo della ricerca di Bas, è facile accorgersi che una tendenza retrospettiva nella pittura è nel Dna della figurazione contemporanea, che proprio facendo leva su posizioni di debolezza ha promosso il suo riscatto. Basterebbero i vari
Currin,
Doig,
Brown o
Daniel Richter a dimostrarlo. Inoltre, uscendo dalla pittura in senso stretto, si potrebbe anche considerare che l’estetica post-produzionista ha tratto addirittura un linguaggio dalla rielaborazione e contaminazione di materiali culturali del passato più o meno recente.
Oggi gli scenari di Hernan Bas non sono più i ben noti boschi notturni o paesaggi esotici e lussureggianti ma, come appare nella personale veneziana, si sono sintetizzati in una dimensione più onirica. Paiono grotte irte di prismi e minerali colorati, che riflettono lame di luce azzurrognola, antri rocciosi, impervi e misteriosi. I suoi personaggi sono perduti in viaggi solitari e fantastici che ricordano le utopie di Jules Verne, ma che sono soprattutto discese nell’inconscio, alla ricerca di sé.
Un’esplorazione della mente che diventa soverchiante al cospetto dell’abisso della psiche. Paure e angosce che si annidano nel sublime.