Pierluigi, una prima domanda da pop star. Film, dischi, programmi tv preferiti?
Guarda, mi piacciono cose diverse, ma per le stesse ragioni: il superamento di un confine dato, la capacitĂ e il coraggio di operare un superamento. Quindi come film ti dico il âBlair Wich Projectâ, esempio emblematico di un limitare tra veritĂ e finzione, tra cronaca e artificio. Come tv â a parte âLa tv dei ragazziâ degli anni Settanta, con il suo bianconero misterioso e la mia voglia di imparare il piĂč possibile â il serial tv di David Lynch âTwin Peaksâ inquietante e paradossale, ti domandavi continuamente che cosa diavolo stavi guardando. Musicalmente, lâalbum âCloserâ, dei Joy Division, e in particolare âHeart and Soulâ, un brano tecnicamente âsbagliatoâ perchĂ© il suono Ăš distorto per una voce troppo ravvicinata al microfono, e proprio per questo unico, irripetibile e bellissimo.
Hai inventato cittĂ , ponti e strade percorse da auto immaginarie. Sullo sfondo, ricordo atomiche buone e architetture metafisiche. Ma il quadro aveva una ricezione talvolta disturbata, come un monitor: qualâĂ© la tua âricezioneâ della pittura?
Ho sempre accettato le interferenze di ogni genere come fenomeni naturali e sempre possibili, dunque per me tra un quadro e un monitor non câĂ© alcuna differenza. Ci sono canali tv che guardo per ore, con una naturale propensione per quelli che si vedono peggio. Il mio massimo Ăš tele+ criptata senza decoder: nullâaltro che film polarizzati, distorti e senza audio. Eâ quello il punto che cerco: entrare nellâerrore, nellâinterferenza. Inoltrarsi in un terreno sconnesso, in un linguaggio che comunica moltissimo, ma secondo codici imprevedibili. Eâ lĂŹ che trovo proprio quel surplus che mi interessa, oltre la narrazione, oltre la successione logica dei frame.
Il superamento di ogni fase del tuo lavoro sembra un diktat preciso per te, una sfida che lanci continuamente a te stesso
PerchĂ© ho capito che a me non interessa fare opere âbelleâ in senso classico, mi basta che siano interessanti da un punto di vista scientifico. Fino a dove si sposta lâesperimento della pittura, ma anche della figurazione, della rappresentazione, della narrazione.
E di ricerca in ricerca, di classificazione in classificazione, sei arrivato alla âesseâ di Standard.
Mi piaceva lâidea di Standard come una matrice fissa da cui partire per infinite variazioni. Eâ un termine mutuato dal jazz, che indica un canone che puĂČ essere eseguito alla lettera, oppure modificato allâinfinito. CosĂŹ i miei Standard nascono da unâimmagine data, che posso trovare ovunque, in una pagina pubblicitaria, in un libro di storia, in un depliant. Quella diventa la mia base di partenza per unâinvenzione pittorica, ne faccio unâimmagine simile ma diversissima.
Io non sono un visionario, che stravolge ogni logica. Io rispetto i canoni fondamentali di prospettiva e composizione. Le variazioni sono sul come viene realizzato il soggetto. Come occupa lo spazio fisico e compositivo del quadro e poi mi reinvento righe, puntini, colori, gialli e matite. Reinventi su una struttura data e accettata.. In fondo anche la natura Ăš fatta di ripetizioni che si rinnovano come i fiocchi di neve, le nuvole in cielo, la gestazione, le eruzioni vulcaniche.
Hai dichiarato spesso, in passato, la volontĂ di âazzerare la pitturaâ. Eâ stato possibile?
Credevo di poterla azzerare, ma azzerandola la amplificavo. Ogni volta che faccio un quadro nuovo, dico e imparo qualcosa in piĂč. Ora ho bisogno di portare allâesasperazione il mio percorso in pittura, e
azzerarla significherebbe comunicare che i quadri che potevo o volevo fare, li ho giĂ fatti.
Ma questo, fortunatamente, non Ăš possibile.
alessandra galletta
Torino, marzo 2002
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ma che vergogna ancora qualche sventurato crede in pusole?
ma se di contemporaneo ha solo il dopobarba!!
he noia e diciamolo pure che piattezza