L’ambiente intimo che il piccolo palazzo veneziano riesce a creare è la condizione ideale per avventurarsi fra le opere di
William Kentridge (Johannesburg, 1955). Infatti, la condizione sospesa attraverso la quale i suoi lavori stimolano il visitatore non potrebbe forse avere origine in spazi più ampi. È ciò che emerge anche dalle parole dell’artista sudafricano: “
Il progetto per la Fenice è paradossale e impossibile. Qualcosa viene proiettato sullo schermo mentre la gente entra in teatro. Gente che è lì per vedere un’opera, non la proiezione”. Kentridge prosegue: “
L’unico motivo per intraprendere un progetto simile è il bisogno masochistico di vedere se in condizioni così avverse si possa salvare qualcosa”.
La mostra allestita a Palazzetto Tito è, in effetti, parte di un più ampio evento culturale, che ha visto l’artista impegnato anche con un video,
(Repeat) from the beginning. Da Capo, la cui proiezione precedeva gli spettacoli dicembrini in cartellone al Teatro La Fenice; inoltre, Kentridge ha rivestito i panni del regista per
Il ritorno di Ulisse di Monteverdi, allestito al Teatro Malbran.
Per quanto riguarda la mostra, nel salone principale spiccano diverse tipologie di sculture:
profili di teste corredati da scritte condividono lo spazio con sculture nere, composte da pezzi di carta strappata uniti l’un l’altro con il fil di ferro. È tuttavia consigliabile cominciare la visita dalla seconda sala, ossia dal video
Breathe: protagonisti sono ancora i brandelli di carta che, volteggianti nell’aria, talora vanno a formare figure di vario genere, come un cantante o un megafono. Il procedimento adottato da Kentridge è intriso di lirismo, sottolineato dal commento sonoro, in cui spicca una femminile voce d’opera.
Già, però, si tende l’orecchio alla sala successiva. Infatti, le stanze del palazzo, piccole e contigue, non permettono un’adeguata insonorizzazione, cosicché le musiche tendono a confondersi, a scapito di un pieno coinvolgimento dello spettatore.
Dissolve, il video che segue
Breathe, alterna due diverse scene, suggerendo il tema della difficoltà comunicativa e l’inevitabile innesco dell’interpretazione. La visione è qui filtrata da un riflesso acquoso che, nelle sue variegate increspature, accompagna l’andamento musicale. La questione della
fragilità della coerenza,
fil rouge di tutto il progetto, è dunque resa con indole sognante, con quella surrealtà che contraddistingue i lavori del creatore dei
Drawings for Projection.
L’atmosfera illusoria è alimentata dal terzo video in mostra. La camera riprende la lenta rotazione delle sculture-ombra su piedistalli girevoli, fino al momento, unico, in cui queste giungono allo stadio di figurazioni coerenti, per poi nuovamente dissolversi in composizioni astratte.
Ed è in tale bidimensionalità video-fotografica che le sculture – le medesime esposte nel salone d’ingresso, insieme ai disegni a parete – sembrano funzionare al meglio.