Si è scritto a lungo sulla contrapposizione tra fotografi e artisti o, meglio, tra fotografi-fotografi e artisti-fotografi. La seconda personale di
Andrea Galvani (Verona, 1973) presso la galleria Artericambi potrebbe essere letta proprio sulla scorta di quest’antitesi, se non vi fosse nel suo lavoro la capacità di ricomposizione di quella che è stata un’antinomia essenzialmente di natura teorica. Semplicemente la fotografia è arte, poiché ha in sé contenuti di ordine estetico o concettuale, indipendentemente dal fatto che sul supporto, sul
medium, siano fissati ritagli di mondo, paesaggi, persone, situazioni, o si testimoni un gesto o un processo.
Galvani è la perfetta dimostrazione di come sia possibile essere fotografo-fotografo e anche all’opposto artista-artista, e non certo in nome dell’ibridazione, ma essenzialmente perché non esiste alcuna differenza, alcuna dicotomia, essendo presenti nel suo lavoro forma, concetto, estetica.
Il visitatore è accolto in galleria da una parete -allestita appositamente per la mostra per parzializzare la volumetria- su cui è collocato
N(-1) #1, in cui brillano nell’oscurità cento occhi di una colonia di gatti catturati di notte con il flash (il lavoro, come i successivi, appartiene al secondo ciclo della trilogia
L’intelligenza del male). Il riflesso della loro pupilla è inquietante, poiché è il simbolo del ribaltamento della dinamica osservatore-osservato: siamo noi a vedere i felini, certo, ma questi ultimi già ci guardavano, senza alcuna necessità dell’illuminazione artificiale.
Nell’ambiente successivo sono invece i conigli a essere protagonisti, in varie foto riprese in un ambiente innevato e montuoso: l’artista ha infatti allestito un vero e proprio set a oltre 3mila metri, orchestrando gli scatti tra le nevi e le nebbie, con conigli di colore bianco e nero. Nel primo caso, le sagome dei roditori si confondono con l’ambiente candido, quasi volessero giocare a nascondersi; nel secondo, invece, sembrano le silhouette della propria presenza, quasi come se qualcuno ne avesse ritagliato la forma sulla pellicola. Diventa centrale quindi il fatto di essere collocati fuori luogo, in un posto inaspettato, tanto più che le loro forme si diluiscono fino a dissolversi nel paesaggio; ed è quello che capita anche nel video in cui gli attrezzi da lavoro (una pala, un piccone, una scala, un annaffiatoio) uno alla volta si disintegrano bruciando, volando nell’aria come fumo di sigaretta.
Come scrive Anna Daneri, Galvani procede “
agendo per sottrazione”, con un meccanismo che
per contrarium, anziché rivelare, maschera, dissolve e tace per sempre.
Visualizza commenti
Bellissima mostra!
Galvani è uno degli italiani piu interessanti, sta davvero lavorando in modo esemplare e coerente da anni, complimenti.
Ma quale pivi?! Vi basta vedere un animale e della neve? Direi piuttosto che sono in molti, anche stranieri, ad attingere dal suo personalissimo immaginario..
ma quale sottrazione galvani stai rifacendo la pivi e pure male!