Qualcosa di piatto come un muro, ma aperto come una finestra. Questa è l’intenzione espressa nelle opere dell’artista americana Helen Frankenthaler, in mostra con Pittura/Panorama, fino al 17 novembre presso il Museo di Palazzo Grimani. La rassegna, curata dallo storico dell’arte e curatore emerito del MoMA di New York John Elderfield, copre attraverso l’esposizione di quattordici dipinti, quattro decenni della lunga carriera dell’artista newyorkese. Frankenthaler torna a Venezia, dopo oltre mezzo secolo dalla sua prima apparizione al Padiglione Americano alla Biennale del ’66. Celebre per la sua singolare tecnica pittorica, il “soak-stain”, Frankenthaler, per realizzare questi dipinti piatti ma aperti, imbeve le spugne di colore e le strofina sulla tela, oppure sversa il colore direttamente sulla tela grezza stesa a pavimento, poi con scope e spatole lo spalma creando aloni, mescolanze e macchie gestaltiche. Sulle tele affiorano piccoli tocchi a fianco di ampie spatolate, bordi e superfici sfumano fra densità e tonalità dei colori, dettagli e campiture vaste che svaniscono l’una nell’altra. L’imbibizione diretta che Frankenthaler fa col colore sulla tela crea campi fluttuanti piatti e traslucidi, in una dimensione indefinita, fra cielo e fantasia, l’artista leviga e modella il colore, cosparge le tele di chiazze e macchie, tra miscele cromatiche e strascichi di pennellate. La sua pratica artistica singolare è stata riconosciuta come lo snodo che ha portato nell’arte americana del secondo dopoguerra a transitare dall’Espressionismo astratto a quel tipo di astrattismo definito Color Field, che ha aperto la strada ad altri celeberrimi artisti come Kenneth Noland e Morris Louis; eppure in Europa la sua figura è ancora misconosciuta.
Helen Frankenthaler, New Paths, 1973, collection of Helen Frankenthaler Foundation, New York
Merito della mostra è di raccogliere selezionate opere per ciascuna delle decadi più prolifiche dell’autrice e presentarle al pubblico europeo: dall’attrazione per l’Action painting, espressa negli anni cinquanta, quando anche Frankenthaler dipinge a terra con schizzi di pittura, come in “Window Shade N. 2” (1952); alle campiture piene, e piane, che creano illusioni di profondità spaziale create durante gli anni sessanta, come in “Riverhead” (1963). Fino ai colori sgargianti e alle linee calligrafiche degli ottanta, in “Brother Angel” (1983), e alle superfici incrostate dei dipinti degli anni novanta, dove Frankenthaler evoca diversi regimi climatici come in “Maelstrom” (1992) o “Snow Basin” (1990).
Influenzata dai pittori veneziani del cinquecento, Frankenthaler riprende dal tonalismo gli effetti cromatici e luministici delle campiture di Tiziano e Tintoretto, usando il colore non per descrivere un oggetto o un paesaggio, ma per esprimere una sensazione libera quanto vaga, sulla scia di quella nuova radicale poetica che inizia con Mallarmé quasi cento anni prima, quando il poeta francese auspicava di rappresentare gli effetti delle cose più che le cose stesse. Una pittura non materiale, o terrena, quella di Frankenthaler, ma di sensazioni, che ci pone davanti a grandi tele che raccolgono l’ispirazione ineffabile di un’eterna girandola di riflessi, colori e passioni.
Mattia Solari
nostra visitata il 7 maggio
Dal 7 maggio al 17 novembre 2019
Helen Frankenthaler, Pittura/Panorama
Museo di Palazzo Grimani
Castello, 4858A, Venezia
Orari di apertura: giovedì–domenica, 10.00–19.00
Info: http://www.palazzogrimani.org