10 febbraio 2001

Fino al 18.II.2001 Osvaldo Forno Rovigo, Galleria La Porta Verde

 
Osvaldo Forno fa l’artista da 40 anni e di recente ha aperto anche una galleria nella sua città d’origine, Rovigo, dove abitualmente espone grafiche di autori storici del ‘900.
Ora, a distanza di 2 anni dalla sua ultima personale (la prima fu nel ’64), ha esposto i suoi dipinti,…

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o almeno quella parte di essi che egli giudica ripercorrano un filone particolare della sua ricerca pittorica a partire dai primi degli anni ’70.
Gli oli di Forno risentono fortemente della sperimentazione optical degli anni ’60; egli stesso si definisce un ammiratore di Vasarely, ma certo non gli è aliena l’impostazione di Soto e, più in generale, l’idea stessa dell’arte legata alla regola geometrica e alla matematica. Geometria e matematica gli forniscono la misura aurea per rappresentare il suo mondo aniconico e mentale, decantato e purificato di ogni complessità visiva, sia formale (e penso alle teorie Kandinskyane) che cromatica.
Forno in questi anni ha approfondito la sua sperimentazione, sempre alla ricerca di misurare nella maniera più esatta lo spazio. Ed in questo senso sono da intendersi le opere più recenti che esplorano le dimensioni notoriamente aliene al bidimensionalismo della tela: le tarsie di specchi o le lame colorate e sfaccettate che sbocciano dal film pittorico sono evidenti sforzi per superare i limiti spaziali, sfondare la tela e liberare la sua pittura da ogni vincolo, proponendo punti di vista e piani di interpretazione inediti o dimensioni visibili parallele. C’è, in questo senso, certamente un ricordo delle istanze spazialiste, ma costringere entro etichette l’opera di Forno sarebbe come togliere la linfa vitale ad un’arte che proviene innanzitutto da un animo inquieto, polemico, che ha sempre rifiutato ogni addomesticamento ed ogni compromesso con le correnti e le mode imposte dal gusto.
Ho parlato spesso con Forno, ma non l’ho conosciuto finché non ho visto le sue opere. Mi è apparsa solo allora la dimensione vera di un uomo che, nato e vissuto in una terra che sa essere molto ostile, ha colpevolmente rifiutato di allinearsi, quando ve n’era l’occasione, ai gruppi e alle correnti che qualche decennio fa menavano le danze del gusto e dello sperimentalismo in campo artistico. Si potrebbe perfino dire che Forno inaugurò forse troppo prematuramente la stagione degli artisti-solisti come li conosciamo oggi, che amano presentarsi assolutamente autonomi e indipendenti. Forno come loro si oppone alle direzioni e alle interpretazioni elaborate dalla critica contemporanea, ma diversamente da loro non ne è schiavo, perché da essi ormai inafferrabile. E’ perciò che a presentare la sua mostra ha chiamato un critico del suo tempo, Giuseppe Marchiori: morto nell’’82, di lui Forno ha gelosamente custodito inedita una critica del ’74 che, oggi, appare analisi lucidissima ed illuminante delle opere vecchie e nuove dell’artista.
Marchiori riconosce nell’opera di Forno i reticoli quale elemento significante e ricorrente e ne suggerisce una interpretazione suggestiva: le prigioni che Forno costruisce ingabbiano in una dimensione razionale il suo mondo fantastico e spirituale, ne forniscono la chiave di lettura e ne traducono in una sorta di vulgata formale le libere e fluttuanti tensioni emotive. Esse appaiono come un universo pulsante al di là delle sbarre, che all’occhio dell’osservatore crollano e si infrangono quasi all’improvviso. Quello che apparve un ostacolo ora diviene una finestra spalancata: lì fuori passa un fiume in piena, un vortice che tutto cattura e in cui l’abbandono appare l’unica strada praticabile.
A guardar bene le opere in mostra, verrebbe da dire che forse un errore Forno l’ha fatto, almeno a giudicare le tele più recenti, in cui egli pare aver abbandonato le tonalità fredde e crude degli anni giovanili e le forme sintetiche ed essenziali: oggi sembra piuttosto aver ceduto alle lusinghe dei colori caldi e al fascino di un eccessivo decorativismo geometrico, forse dimenticando che la sua altezza, la sua indiscussa originalità egli la manifesta proprio nella sintesi cromatica assoluta e nella plasticità più pura ed essenziale: una dicotomia che egli sa controllare e risolvere in tenui dissolvenze e in chimiche sublimazioni di rara delicatezza. La tua arte, Osvaldo, è fatta di vibrazioni e suggestioni mentali che non possono manifestarsi in forme e colori se non in un’accezione minimale, semplicemente perché ci hai mostrato che al di là delle prigioni razionali forme e colori possono fluire nella loro originaria essenza e interezza solo quando si riducano allo stadio neutrale di assoluta immobilità. Aristotele teorizzò il motore primo immobile quale responsabile del movimento di tutto il cosmo.


“Osvaldo Forno”. Galleria La Porta Verde, via Umberto I 11/b, Rovigo. Dal 4 febbraio al 18 febbraio 2001. Orari: tutti i giorni 17.00-19.30. Domenica 10.30-12.30 e 17.00-19.30. Chiuso il lunedì. Informazioni: tel./fax 0425/423314.


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